Transizione ecologica, una notizia bella e una brutta
venerdì 24 maggio 2024

Sulla transizione ecologica ci sono una bella e una brutta notizia. La prima deriva dall’osservare che le dinamiche di mercato spingono in quella direzione molto più di quanto noi ci accorgiamo. La brutta notizia è che abbiamo ormai superato l’obiettivo di restare sotto l’aumento di 1,5 gradi di temperatura entro il 2030 (in Europa siamo a più 2,5 gradi). Il riscaldamento globale corre, dobbiamo fare presto.
Ma torniamo al primo punto. Immaginate di essere su una pista di atletica 5 metri avanti al campione olimpico Marcell Jacobs in una gara appena iniziata. Per chi fotografasse solo l’istante, il contenuto informativo che si estrae è quello di essere in vantaggio. L’informazione corretta per chi ha un minimo di conoscenza delle forze in campo e delle dinamiche in atto (velocità, trend…) è che Jacobs arriverà per primo al traguardo.
La transizione si gioca su alcuni fronti fondamentali – fonti di produzione di energia, mobilità, case, sistema produttivo – per i quali, in larga parte, gli esiti sono già prevedibili. Il dibattito sull’auto elettrica che si è sviluppato in questi mesi si gioca ad esempio sul vizio di prospettiva cui accennavamo. Gli scettici riportano la situazione del momento: le auto con motore a scoppio costano meno delle elettriche. Chi conosce il settore è consapevole invece di quanto il pareggio sia vicino. L’ultimo rapporto Gardner lo vede già nel 2027, dopo di che le auto elettriche saranno meno costose di quelle con motore a scoppio. Il caso delle dinamiche dei prezzi dell’auto fa comprendere come a favore della transizione ecologica siano oggi in campo potenti forze di mercato e di progresso tecnologico.
Un rapporto pubblicato recentemente da uno dei più autorevoli centri studi sul tema della transizione (Carbon Tracker) sottolinea come le conoscenze tecnologiche attuali consentirebbero entro la fine del decennio di produrre «una quantità di energia superiore di circa 100 volte all’attuale fabbisogno».
La velocità di riduzione dei prezzi della produzione di energia dal fotovoltaico, per fare un altro esempio, assomiglia anch’essa a quella del campione olimpico dei 100 metri. Nel 1976 era necessaria la cifra esorbitante di 100 dollari per produrre un watt di energia da pannelli fotovoltaici. Con le economie di scala generate dall’aumento di produzione e l’innovazione i prezzi sono progressivamente crollati fino a 12 centesimi. Il problema sarà semmai gestire correttamente il fenomeno, attraverso la definizione delle aree idonee, visto che per affittare un ettaro di terreno da destinare a produzione di energia vengono offerti fino a 5.000 euro e cioè più di sei volte rispetto a quanto mediamente i proprietari guadagnano con l’attività agricola.
Se c’è un ambito però dove mercato e innovazione (sorretti da buone regole) non bastano è quello dell’efficientamento degli edifici. I quali producono una quota molto rilevante della CO2 e sono responsabili, nella Pianura padana, di quasi la metà delle emissioni di polveri sottili. Senza incentivi pubblici, i costi della ristrutturazione restano infatti superiori ai benefici generati dall’aumento di valore dell’immobile per il salto di classe energetica e dalla riduzione delle spese di affrescamento/riscaldamento. Per questo gli obiettivi di decarbonizzazione stabiliti dalla direttiva sulle Case green approvata dal Parlamento europeo richiedono un ingente sostegno finanziario. Che dovrebbe necessariamente arrivare da una partnership pubblico-privata su fondi immobiliari e da una costruzione intelligente dei bonus edilizi che faccia tesoro degli errori del passato. I criteri fondamentali sono quelli di un incentivo non superiore al 100% per creare corresponsabilità di chi ristruttura ed evitare costi gonfiati, e di un tetto di spesa pubblica annuo non superabile per evitare sorprese nel bilancio.
Per consentire l’accesso alla misura dei meno abbienti, la cessione del credito d’imposta va reintrodotta stabilendo dei limiti annui all’utilizzo e alle cessioni realizzabili dello stesso al fine di evitare eccessiva creazione di moneta fiscale.
Ma soprattutto bisogna sconfiggere il “partito della paura” che soffia sul fuoco dei timori dei cittadini di fronte al cambiamento. La transizione ecologica è una vera e propria rivoluzione industriale che come tale, oltre a modificare il paradigma economico rendendolo ambientalmente sostenibile, crea straordinarie occasioni occupazionali. I costi sociali dei ritardi li sperimentiamo sulla nostra pelle con l’inflazione climatica, gli eventi climatici estremi e i migranti del clima. L’Unione Europea può e deve giocare un ruolo guida fissando traguardi ambiziosi e, allo stesso tempo, stimolando Paesi terzi ad adottarli con i meccanismi di aggiustamento alla frontiera (Carbon border adjustment mechanism) che tassano i prodotti che non rispettano i nostri standard e che possono e devono trasformare il commercio internazionale in una competizione equa e sostenibile.


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