mercoledì 20 giugno 2012
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Fa caldo in Campania. Un caldo afoso che ci terrà compagnia per tutta le settimana. Con il caldo nei territori a cavallo tra Napoli e Caserta si ripresentano i vecchi, angoscianti problemi che, negli anni, non hanno mai trovato una soluzione. Un fetore deprimente si intrufola nelle nostre case come un ladro, di notte e nelle prime ore del mattino, e ammorba la vita delle persone ancora sonnacchiose e stanche. Le sveglia di soprassalto facendole correre a chiudere porte e finestre e accendere i condizionatori d’aria. Come sempre, le autorità balbettano, ripetendo il vecchio, insopportabile ritornello dello scaricabarile. C’è chi dice che proviene dalle ecoballe accatastate da anni come montagne nelle nostre campagne. Chi invece insiste sui depuratori delle acque reflue che funzionano a singhiozzo e male. Sarà l’incapacità di gestire la cosa pubblica, il mantenere qualche promessa fatta a qualche compagno di merenda o la paura di ledere gli  interessi di qualche camorrista nostrano, fatto sta che i peccati di omissione si sprecano. Tonnellate di materiali di origini sconosciute vengono bruciate ogni giorno, sotto gli occhi di tutti, forze dell’ordine e politici locali compresi. Roghi alti si levano dalle campagne per andare a intristire il cielo e gli animi. Il consiglio del sottosegretario all’Economia di fare quest’anno una settimana di ferie in meno, da queste parti, è del tutto fuori luogo. Qui tanta gente fa la fame eppure la vita costa più che altrove. A cominciare dall’assicurazione sulle auto. Costa tantissimo perché, ci dicono, troppa gente ha imbrogliato nel passato, i conti non tornano e, dunque, gli onesti dovranno riparare. La bolletta dell’elettricità aumenta perché con l’aria avvelenata occorre starsene chiusi in casa con i condizionatori perennemente accesi. Si lavora poco, sottopagati, a rischio della vita e, sovente, per la stessa camorra che ha le mani in pasta dappertutto. Lunedì, però, si è proprio sfiorata la tragedia. I cittadini delle province di Napoli e Caserta, inorriditi, hanno notato verso le 3 del pomeriggio che una enorme nube nera come la notte, densa come il fango, fetida come l’inferno si ingrossava sempre di più. Un colossale incendio si era sviluppato in un deposito per auto destinate allo sfascio. Lentamente la nube si dirige verso il Vesuvio. Centinaia di auto, copertoni e altro materiale altamente infiammabile erano stati ammassati sulla nuda terra, accanto a fondi agricoli, senza alcuna protezione né sistemi antincendio. Così, semplicemente, stupidamente. Una vera bomba ecologica all’aria aperta. Una bomba che non poteva che scoppiare sprigionando diossina in quantità elevata. Gli occhi bruciano. Brucia la gola e la pelle. Il palato si fa amaro, la saliva nera. Il cuore scoppia. Di impotenza, di rabbia, di desiderio di giustizia. Il pensiero corre ai bambini, ai vecchi, agli ammalati. I giovani sul Web si allertano, con un tam-tam che sale e scende per l’Italia. Poveri ragazzi: chiedono aiuto e non sanno nemmeno a chi. Come sempre mancano gli interlocutori. Nel settembre 2010 un politico di rilievo nazionale arrivò a dire che se non avessimo la Calabria e la conurbazione Napoli-Caserta – definita un cancro morale – l’Italia sarebbe il primo Paese in Europa. Come si può facilmente immaginare i politici campani fecero gli offesi. Oggi siamo all’emergenza. Queste zone sono diventate terre di nessuno o, meglio, di gente con troppi interessi occulti. Qui non si vive più, qui si sopravvive a stento. Non è un caso se la percentuale di morti per cancro in questa fascia di terra è tra le più alte di tutta la Penisola.
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