sabato 11 maggio 2024
Da tempo si usa lo ioduro d’argento per favorire le precipitazioni. Oggi si pensa di “essiccare” la stratosfera e di schermare i raggi della nostra stella.
Un'ipotesi di ombrello solare

Un'ipotesi di ombrello solare - Brooks Bays, UH Institute for Astronomy

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Il mutamento climatico che sta attualmente interessando la Terra, con le gravi conseguenze sotto gli occhi di tutti, si era già manifestato più volte in passato. La temperatura del nostro Pianeta dipende essenzialmente dal Sole, ovvero dalla sua attività, capace di riscaldare o lasciare raffreddare la Terra. Stavolta però, rispetto alle ere precedenti, l’anomalia sembra essere data dalla velocità con cui tutto ciò sta avvenendo: i tempi del cambiamento ambientale sono troppo repentini per non considerare il fatto che a questo fenomeno l’uomo stia contribuendo in misura importante. Una prova? Viene dal “black carbon”, un prodotto dalla combustione incompleta di prodotti petroliferi pesanti e un inquinante atmosferico che contribuisce al riscaldamento. Di recente ne sono state trovate quantità abbondanti anche nell’Artico, segno dell’azione pervasiva delle attività umane.

Se una parte del mondo cerca di limitare il riscaldamento globale entro la soglia di 1,5 gradi in più rispetto alle temperature dell’epoca pre-industriale, come richiesto dagli Accordi di Parigi del 2015, un’altra parte continua a disattendere questo impegno. Uno studio sulle spugne marine, che sono un rilevatore naturale del cambiamento climatico, condotto dall'Università dell'Australia Occidentale e recentemente pubblicato sulla rivista Nature Climate Change, mostra che persino l'obiettivo di mantenere il riscaldamento al di sotto di 2 gradi rischia di fallire. Tale limite potrebbe essere superato già entro la fine di questo decennio, perché il vero conto sull’aumento della temperatura nei mari andrebbe retrodato di almeno 80 anni, e non a partire dagli anni 60 del Novecento come si fa abitualmente. Un disastro, insomma. Quindi, che fare?

L’idea che sta emergendo a livello di comunità internazionale è di provare a creare “macchine” o strumenti anti-cambiamento climatico”, utilizzando la tecnologia più avanzata per combattere gli effetti della tecnologia inquinante e climalterante. Anche se vi è un “però”, un “però” molto grosso, che riguarda la quanta energia che sarebbe necessaria per mettere in moto queste “macchine”, vanificando quindi in parte il loro scopo, nel caso l’energia richiesta fosse tanta. La risposta a un nuovo fabbisogno energetico – dopo che le ultime risorse sono impiegate per sostenere la rivoluzione tecnologica guidata dalla intelligenza artificiale – sarebbe probabilmente possibile con la fusione nucleare (pulita, sicura, illimitata), opportunità dalla quale ancora siamo lontani. Sappiamo, per esempio, che la mobilità elettrica non produce emissioni, di CO2 o di inquinanti, ma allo stesso tempo danneggia il Pianeta innescando una caccia senza quartiere tra nazioni alle “terre rare”, che servono a sviluppare la componentistica necessaria.

La rivendicazione fatta dall’ex presidente americano Donald Trump su una possibile “annessione” della Groenlandia (oggi alla Danimarca) e le affermazioni fatte in alcuni ambienti russi nei confronti degli Stati Uniti per una restituzione dell’Alaska, ceduta da Mosca a Washington nel 1867, fanno capire la pericolosità di questa scelta. Oltre al fatto che è impensabile, senza la fusione nucleare, poter produrre energia elettrica sufficiente per sostenere la transizione totale, nel solo settore della mobilità, dagli idrocarburi (motori endotermici) all’elettrico.

Tornando alla tecnologia come freno del cambiamento climatico, alcune soluzioni sono già in uso da tempi in cui il problema ambientale e del riscaldamento non veniva nemmeno posto. Per far piovere laddove le precipitazioni sono scarse, si è usata per esempio la chimica. I primi test risalgono al 1946, quando Vincent Schaefer, chimico statunitense, se ne servì per far piovere su una specifica area. L’impiego di una miscela a base di ioduro d’argento va attribuita però al collega Bernard Vonnegut, fratello del famoso scrittore Kurt. Secondo gli scienziati, questa pratica non crea danni all’ambiente; anzi, il suo uso consente di fare fronte a emergenze di natura meteorologica. Sono tanti oggi i Paesi che si servono di tale strumento per ridurre i danni causati dalla siccità, e anche per dissipare la nebbia negli aeroporti o scongiurare devastanti grandinate sui vigneti. L’Unione Sovietica si servì dello ioduro d’argento persino per “affogare” un’invasione di fameliche locuste.

Lo scorso 16 aprile Dubai, città caratterizzata notoriamente da un clima arido, è stata colpita da un fenomeno meteo eccezionale: in poche ore ha visto precipitazioni pari a quelle che cadono in un anno e mezzo su tutto l’Emirato, con inondazioni e una situazione di grave emergenza. Sul banco degli imputati proprio la tecnica di semina delle nuvole con l’utilizzo di ioduro d’argento cui Dubai ricorre spesso ma che, in questo caso, ha smentito di aver impiegato, attribuendo invece la calamità a una anomalia meteorologica, generata da una serie concatenata di temporali di medie dimensione.

Dopo l’allarme sull'aumento dei livelli di anidride carbonica e metano, è facile dimenticare che anche il vapore acqueo è un importante gas serra. Può rimanere per anni nella stratosfera, assorbendo calore dalla superficie e ricanalizzandolo verso il basso. Secondo uno studio recente pubblicato su Science Advances, una possibile impennata dell'acqua stratosferica durante gli anni '90 del secolo scorso potrebbe aver aumentato il riscaldamento globale fino al 30% durante quel periodo. Ma cosa succederebbe se si potesse impedire all'acqua di arrivare nella stratosfera? È l'idea alla base di una nuova tecnica di geoingegneria. Prendendo di mira l'aria umida ascendente e “seminandola” con particelle che formano nuvole proprio prima che attraversi la stratosfera, i tecnici potrebbero provare a “raffreddare” il mondo con un intervento molto più mirato. L’“essiccazione” della stratosfera potrebbe richiedere solo due chilogrammi di materiale a settimana, affermano i ricercatori del Chemical Sciences Lab alla National Oceanic and Atmospheric Administration (Noaa).

La “disidratazione stratosferica intenzionale”, come viene chiamata, potrebbe compensare circa l'1,4% del riscaldamento causato dall'aumento dell'anidride carbonica negli ultimi cento anni. “È un'idea nuova e interessante”, ha affermato Ulrike Lohmann, docente di Fisica dell'atmosfera presso l'Eth di Zurigo. Conferme sono arrivate anche dalla Nasa. Poi ci sono le soluzioni al limite della fantascienza. Per esempio, un piccolo ma crescente numero di astronomi e fisici ha proposto di costruire un “ombrellone gigante” da collocare nello spazio – in un punto di equilibrio gravitazionale, detto anche di Lagrange – tra la Terra e il Sole, con l’idea abbassare l’effetto dell’attività della nostra stella. Gli scienziati hanno calcolato che, se solo il 2% della radiazione solare fosse bloccato, ciò sarebbe sufficiente a raffreddare il pianeta di 1,5 gradi. Ma c’è anche chi pensa che il problema del riscaldamento globale si risolverà a breve da solo.

Una “mini-era glaciale” potrebbe essere alle porte tra il 2030 e il 2040. Secondo alcune stime, il Sole dovrebbe ridurre la sua attività sino al 60%, facendo precipitare le temperature medie della Terra anche di 11 gradi: un fiume come il Tamigi si ghiaccerebbe, come già successe a Londra tra il 1646 ed il 1715, mentre a Parigi si vendeva, proprio per le basse temperature, il vino ghiacciato. Le previsioni sono di uno studio aggiornato sui cicli solari presentato di recente al National Astronomy Meeting di Llandudno, in Galles, da Valentina Zarkhova ordinaria di Fisica all’università Northumbria di Newcastle. Il suo modello che studia la ciclicità delle macchie solari, elaborato nel 2015, ma perfezionato ulteriormente da pochi mesi, confermerebbe che il Sole potrebbe “rallentare” la sua attività nel 2030, causando un crollo delle temperature e una possibile mini era glaciale per la Terra.

Lo studio afferma che i cicli solari (di solito lunghi 11 anni, e che intercorrono tra un periodo di minimo o massimo dell'attività solare e il successivo) si “cancelleranno uno con l'altro” e di conseguenza si potrebbe verificare un fenomeno chiamato Maunder Minimun, già visto appunto a cavallo tra il XVII e il XVIII. Un’altra teoria riguarda invece lo scioglimento dei ghiacci, ovvero acqua dolce che diluirebbe il sale marino in una massa ben maggiore. Questo interromperebbero le correnti atlantiche, impendendo la “discesa” del freddo e l’“ascesa” del caldo, con il risultato che il Pianeta, soprattutto nell’emisfero Nord, sprofonderebbe nuovamente in una glaciazione. Previsioni cui non è possibile dare una probabilità di realizzazione e che, comunque, non ci esimono dal continuare a cercare rimedi per il riscaldamento e il cambiamento climatico.

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