sabato 2 febbraio 2019
Il ministro per le Infrastutture non vuole realizzare la Tav sulla base dell’analisi costi-benefici. Il ministro dell’Interno la vuole realizzare sulla base dei dati da lui raccolti...
Il cantiere della linea ferroviaria Tav. Nella foto l'imbocco della galleria (Fotogramma)

Il cantiere della linea ferroviaria Tav. Nella foto l'imbocco della galleria (Fotogramma)

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Il ministro per le Infrastutture non vuole realizzare la Tav sulla base dell’analisi costi-benefici. Il ministro dell’Interno la vuole realizzare sulla base dei dati da lui raccolti; Salvini non ha letto il dossier di Toninelli; Toninelli non ha letto quello di Salvini. Entrambi i dossier sono certamente autorevoli e fondati; redatti con rigore da esperti di vaglia. Qui sta il problema. Ci si affida alla scienza per due motivare due decisioni opposte. E più ancora: si invoca la scienza per fare la Tav e si contesta la scienza per non vaccinarsi.

Tirata da ogni parte, la scienza ha un rapporto con la decisione politica antico. Platone consigliava Dioniso di Siracusa e Aristotele era maestro di Alessandro Magno. Ma è anche storia complicata, perché – come diceva Keynes – «non c’è niente che un governo detesta di più che essere informato ». E infatti i tre Re magi non tornano da Erode dopo aver verificato che il Bambino è nato davvero. Di fronte all’evidenza inoppugnabile, cosa resta al sovrano? Se la decisione dipendesse dalla verità scientifica, basterebbero gli scienziati a governare il mondo. E non sarebbe un mondo migliore. «Conoscere per decidere», è lo slogan di Luigi Einaudi che tutti invocano. Ma rischia di essere ovvio o ingenuo. Ovvio se si tratta di sapere su cosa decidere. Ingenuo se si ritiene che l’evidenza scientifica basti alla decisione. Non si decide a colpi di evidenze scientifiche. Altrimenti vaccineremmo tutti. La verità scientifica aiuta, ma non basta. Anche perché non è né assoluta, né oggettiva. Non è assoluta e guai se lo fosse. La scienza procede formulando ipotesi, osservando se queste reggono, smentendole, e inventandone di nuove. «Tutta la conoscenza scientifica è incerta», diceva il grande Richard Feynman, perché essa si fonda sulla fantasia dello scienziato, sul dubbio e sulla creatività di nuove domande da affrontare.

È un cammino continuo e aperto, a permanente rischio di vertigine, di errore e di (più o meno) deliberato sviamento. La verità scientifica non è nemmeno oggettiva o neutra. I dati non sono né buoni, né cattivi; sono semplicemente dei dati. È lo scienziato che li interpreta, che offre la sua lettura, le sue correlazioni, le sue ipotesi di causalità. E lo fa portando il suo vissuto, la sua prospettiva soggettiva, le influenze che riceve. Prime tra tutte l’ossequio alla teoria ortodossa di riferimento: in America non si diventa professori di scienza economica se non si scrive sulle 5 principali riviste.

In Italia non è molto diverso. Non è un male; è semplicemente la regola, il modo in cui la comunità scientifica lavora e progredisce. Basta saperlo. Il vero scienziato è consapevole dei suoi limiti. Ancora Keynes al capitolo 12 della sua Teoria generale: «Dobbiamo ammettere che la nostra base di conoscenza per estimare il rendimento di una ferrovia ammonta a ben poco o nulla». Il bene comune non si costruisce a colpi di perizie e per demagogia, ma con la lungimiranza e con la prudenza, che san Tommaso raccomandava ai servitori del popolo. La scelta si esercita guardando, ponderando, valutando tutto, anche - non solo la scienza. Altrimenti chi governerà la scienza stessa all’alba avanzata dell’intelligenza artificiale?

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