Sussidiarietà è sviluppo
martedì 19 luglio 2022

Nonostante tutto, l’Italia è un Paese che resiste. Resistenza è un termine passato di moda, oggi per definire un sistema che sa far fronte alle difficoltà, adattarsi e riorganizzarsi si parla più propriamente, e giustamente, di resilienza. Dunque, siamo resilienti. Ma da cosa deriva questa capacità, l’attitudine a non crollare sotto i colpi di una crisi – che sia politica (persino surreale come quella in corso), economica o sanitaria? Una delle chiavi per capirlo è affidarsi a un altro termine, tanto noto e ricorrente quanto difficile da definire in modo semplice, sebbene in una determinata accezione sia uno dei principi fondanti della Dottrina sociale cattolica: sussidiarietà.

Ora, la sussidiarietà, intesa come partecipazione sociale, partecipazione civica, volontariato, sostegno alle e delle associazioni, presenza di organizzazioni non profit in un territorio, e via dicendo, sembra essere non solo una infrastruttura sociale ben radicata nel nostro Paese, ma le si può attribuire buona parte della capacità di tenuta che ci caratterizza, oltre a definirsi quale uno dei motori dello sviluppo sociale, in grado di migliorare la qualità della vita e vari altri indicatori di benessere, dal lavoro alle retribuzioni fino anche alla salute. Se stiamo abbastanza bene, insomma, o nei momenti difficili riusciamo (mediamente, s’intende, come popolo) a non stare troppo male, è perché abbiamo buone relazioni, ci diamo da fare per gli altri, ci impegniamo in prima persona, sappiamo farci carico o prenderci cura di qualcuno. È questo il messaggio che emerge dal «Rapporto 2022 sullo Sviluppo sociale» della Fondazione per la Sussidiarietà.

Ed è una lezione di cui fare tesoro in una fase come quella che stiamo vivendo, in cui, per fare qualche esempio – è appena accaduto negli Stati Uniti – viene definito 'Buon Samaritano' un giovane che spara e uccide una persona armata da una legge che lo consente, e così facendo impedisce una strage in un centro commerciale; oppure si chiede e si invoca la pace, ma si rivela faticoso accettare i costi che un impegno in prima persona può comportare nella quotidianità, nel nostro stesso stile di vita. La sussidiarietà, insomma, è il fondamento della convivenza. E il Rapporto della Fondazione presieduta da Giorgio Vittadini, docente di Statistica all’università di Milano Bicocca, in particolare in una ricerca curata insieme a Giancarlo Blangiardo, presidente dell’Istat e grande demografo, rivela due correlazioni fondamentali, di cui fare memoria.

La prima indica che più è alta la fiducia, la soddisfazione nella vita, l’apertura verso gli altri – in termini tecnici: il 'sentimento di sé relazionale' – più si diffonde la sussidiarietà. Dunque: buone relazioni familiari e amicali, soddisfazione nel lavoro, possibilità di conciliazione, una buona istruzione, un contesto ambientale ed ecologico favorevole, qualità del tempo libero... sono tutti fattori che aumentano il tasso di sussidiarietà e di partecipazione. La seconda è che più è diffusa la sussidiarietà, intesa nello specifico come partecipazione ai programmi di formazione continua, a eventi culturali, o all’esistenza di realtà non profit, più alto è il tasso di occupazione, e inoltre si riducono sia il rischio di povertà che la presenza di bassi salari.

La fiducia, si potrebbe dire (anche la fiducia nella politica, andrebbe ricordato), ci rende più sussidiari, e questa maggiore 'attività' ha l’effetto di migliorare lo sviluppo sociale. Il dato problematico è la divisione dell’Italia tra Nord e Sud, con le Regioni meridionali che nel loro insieme si collocano tutte sotto la media. Inoltre, il cosiddetto 'sentimento di sé relazionale', per effetto del Covid e delle restrizioni che hanno peggiorato lo stato psichico e intaccato la fiducia verso il prossimo, ha finito per logorare le regioni del Nord più colpite dal virus. Tuttavia, se si legge la ricerca, questo non ha avuto un effetto a cascata sui tassi di sussidiarietà e di partecipazione sociale.

Come a dire: Covid, guerra in Ucraina, crisi economica e radicalismi politici stanno mettendo alla prova l’Italia, ma la risposta di cui siamo capaci anche grazie ai soggetti del Terzo settore che sappiamo far vivere, dimostra una volta di più la vocazione pacifica e solidale del nostro Paese. Una terra in cui i Buoni Samaritani sono soltanto coloro che sanno mettere in gioco la propria vita per gli altri, non quelli che sparano. Dare più spazio a questa attitudine, e aiutarla a diffondersi e strutturarsi, è la migliore garanzia di sviluppo.

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