martedì 29 giugno 2021
La riforma di tutto il settore «bio» è voluta dall’Europa, ma in Italia divide gli esperti. Sostenibilità o efficienza nella produzione alimentare? Il nodo dei finanziamenti
Sulla biodinamica si gioca una scelta di campo

Ansa

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Quando si parla di biologico è come se tutti i simbolismi ecologici si incontrassero: la sostenibilità, Greta, la plastica negli oceani, il buco nell’ozono... Immersi come siamo in questa narrazione, allungare la mano verso una mela bio non è più un atto d’acquisto: è una palingenesi. L’Europa intera ha scelto di rinascere nel segno del Green new deal, arrivando persino a mistificare la realtà per convincersi dell’ineluttabilità di questo passaggio storico. Nel 2019, infatti, la Commissione europea ha lanciato la strategia Farm to Fork, sostenendo che fosse prioritario, irrinunciabile e indifferibile arrivare ad una riduzione del 50% degli agrofarmaci e presentando l’agricoltura comunitaria come una sentina di prodotti chimici. Peccato che solo due anni dopo la stessa Commissione, abbia dovuto ammettere che gli agrofarmaci nelle campagne erano già scesi del 13%, con una riduzione del 12% dei principi attivi più pericolosi.

In questo contesto, non stupisce che esploda una polemica feroce sull’agricoltura biodinamica. Il metodo di coltivazione biologica si distingue da quello convenzionale non perché non utilizzi la chimica, ma in quanto usa solo gli agrofarmaci meno impattanti e normati nei disciplinari: sono vietati diserbanti e fumiganti del terreno, così come prodotti fitosanitari sistemici (assorbiti da radici e foglie per venire distribuiti negli organi della pianta). Una rete di aziende di certificazione attesta il rispetto dei disciplinari. Il metodo biodinamico è altra cosa: ha organismi di certificazione a sé stanti e realizza la visione antroposofica del mondo elaborata dal teosofo Rudolf Steiner per propiziare l’equilibrio tra agricoltura ed ecosistema. Applica alcune tecniche dell’agricoltura biologica (la certificazione biodinamica si aggiunge a quella biologica, non la sostituisce), oltre alle proprie, utilizzando dei preparati che avrebbero il compito di sfruttare delle “forze cosmiche”.

Il disegno di legge 988, che riforma il settore bio, equipara le due agricolture perché deve allinearsi alla normativa comunitaria che le equipara da tempo, ma con questa scelta ha scatenato un putiferio tra scienziati e fautori del bio. Il provvedimento affronta in questo periodo il terzo passaggio parlamentare, con l’esame, alla Camera, del testo licenziato a Palazzo Madama. L’approvazione è avvenuta con il voto unanime dei senatori, tranne Elena Cattaneo, capofila degli scienziati anti-bio. Battaglia che può sembrare il puntiglio di un gruppo di cervelloni: invece si combatte sui soldi. Tanti soldi. Il settore biologico, infatti, in Italia copre il 15,8% della superficie agricola nazionale, dà la- voro ad oltre 80mila aziende, ha un fatturato di 4,3 miliardi di euro e rappresenta circa il 3,5% della spesa alimentare degli italiani (7 su 10 acquistano almeno un prodotto bio). Abortirne lo sviluppo significherebbe travasare risorse sull’agricoltura convenzionale e quindi anche su chi, nelle università, studia nuovi principi attivi per quel tipo di produzione.

Per ragioni uguali e contrarie, la filiera del bio attende impaziente il voto finale. «Finalmente, dopo quindici anni di iter parlamentare, avremo l’attrezzatura per riformare e strutturare un settore in continua crescita – spiega il segretario generale di FederBio, Paolo Carnemolla –; come avviene già in altri Paesi europei avremo finalmente un sistema produttivo, di mercato e di controllo meglio organizzato in tutti i suoi ambiti, con ruoli e regole più chiare, un piano d’azione finanziato, strumenti per la ricerca e la formazione, insomma un settore bio maturo». Sulla stessa posizione troviamo la Coldiretti, che rappresenta sia imprese biologiche che convenzionali. «Occorre approvare subito la legge nazionale, senza cambiamenti strumentali finalizzati a bloccare il definitivo via libera» recita un comunicato. L’organizzazione agricola sgombra il terreno dagli equivoci, sostenendo che la polemica sul biodinamico non deve rallentare l’iter della legge, che interessa migliaia di operatori a livello nazionale con consumi in crescita a due cifre.

Obiettivamente, la legge ci metterebbe al passo dell’Europa, che in marzo ha pubblicato un piano d’azione strategico. Impossibile declinarlo sulla realtà italiana con l’attuale impianto normativo, il quale è ancora fondato su un sistema di certificazione fatto di società private spesso tacciate di opacità. La nuova legge consentirà di creare un organismo interprofessionale riconosciuto: il governo sarà delegato a modificare le regole del decreto legislativo n° 20 del 2018 e garantire al mondo bio quella tracciabilità che ancora manca e che nel 2016 condusse allo scandalo del falso bio. Resta, è vero, una legge quadro, ma a trent’anni esatti dal primo regolamento europeo (24 giugno 1991) è un passo avanti. «Ai maliziosi ricordo – soggiunge Carnemolla – che non si tratta di una legge di spesa: resta il vecchio fondo creato dal ministro Pecoraro Scanio ventun’anni fa, e ne sarà istituito uno nuovo, ma il primo deriva dalla tassa sui fitofarmaci e il secondo dovrà essere alimentato dal Parlamento tramite le leggi annuali di bilancio, ossia non esiste un sostegno economico al bio già definito nella legge».

Rassicurazioni che non bastano agli 400 tra agronomi, ricercatori, docenti universitari che hanno chiesto il ritiro del provvedimento. Sottolineano che con questo metodo si produce fino al 50% meno dell’agricoltura convenzionale – senza assicurare una miglior qualità – e contestano che il ddl 988 preveda dei finanziamenti «solo per linee di ricerca specifiche per il biologico ». In questo scontro, l’agricoltura biodinamica diventa la mela della discordia. «A un’impostazione già ideologica come quella biologica, aggiunge credenze esoteriche come la “fecondazione cosmica”, da potenziare per mezzo del “cornoletame” e di vesciche di cervo riempite di fiori di achillea » dichiara infatti la senatrice Cattaneo, stigmatizzando la «stregoneria di Stato». Da sempre, tra i biodinamici e gli universitari non scorre buon sangue. Nel gennaio del 2019, un gruppo di ordinari si è pronunciato ufficialmente contro l’istituzione di corsi di laurea in agricoltura biodinamica in quanto diffonderebbero credenze come quella che i «preparati biodinamici », realizzati con organi animali come il corno di vacca, l’intestino, il cranio, il peritoneo o la vescica, possano «concentrare le forze vitali costruttive e plasmatrici che provengono dal cosmo». Nel maggio scorso, tuttavia, Carlo Triarico, presidente dell’Associazione per l’agricoltura biodinamica, ha rilanciato: «È ora necessario dare il via, anche in Italia, a corsi di laurea e scuole di alta formazione in agricoltura biodinamica, nonché a programmi di ricerca scientifica, come già avviene nei principali paesi europei ». Il piatto della ricerca scientifica in agricoltura dev’esser ben ricco se fa gola a tanti...

Sicuramente, l’equiparazione dell’agricoltura biodinamica all’agricoltura biologica è la pietra d’inciampo della 988. L’Accademia dei Georgofili ha consigliato di scorporarla per facilitare l’iter legislativo, ma la Coldiretti chiede di approvare la legge senza indugi: «L’agricoltura biodinamica – ricorda – è stata sempre equiparata al biologico ai sensi della legge fin dalla prima presentazione del Ddl di settore nel 2008 e tale disposizione è stata confermata in ogni passaggio alle Camere». A monte di questo dibattito, vi è la scelta della sostenibilità, che oggi informa la strategia europea e che sembrava acquisita fino al 2020, cioè prima che la pandemia dimostrasse l’importanza dell’autosufficienza alimentare, mettendo in discussione il paradigma della multifunzionalità, che reggeva dal 1990 e secondo il quale la resa per ettaro non è così fondamentale. Contano di più l’ambiente, la difesa del territorio, la cultura rurale, lo stesso bio... Adesso, anche se Bruxelles continua a pensare green, nei Paesi membri ci si preoccupa nuovamente di riempire i magazzini e qualcuno vorrebbe portare indietro le lancette dell’orologio. Dall’ora di Greta Thunberg a quella di Norman Borlaug, il padre della Rivoluzione Verde.

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