Sulla cima dei monti: non conta l'altezza ma il poter toccare il cielo
mercoledì 27 settembre 2023

Ammiro Reinhold Messner, e quando parla gli credo. Ha detto di essere stato sulla vetta dell’Annapurna, e non vedo perché dubitarne. Qualcuno dichiara di non credergli, per negargli di essere salito sulla cima di tutti gli Ottomila, e togliergli questo onore dal Guinness dei Primati. Messner si sarebbe fermato 5 metri in linea verticale prima della cima e 65 metri in linea d’aria: conoscendo il mondo dell’alpinismo e la vita di tanti alpinisti, sono portato a credere che nessuno di loro, tanto meno Reinhold Messner, se s’è impegnato in una salita, poi si ferma a 5 metri verticali dalla vetta e a 65 metri lineari di distanza. Non farà mai una cosa del genere. Piuttosto, muore. È così che mi spiego la morte di tanti scalatori a pochi metri dal traguardo finale.

Le mie esperienze di alta quota (da tenente degli alpini) sono miserelle. Quindi non sto parlando per me. Io guardo gli scalatori dal basso all’alto, so di non valere un’unghia di loro. Ma so che sulle loro imprese non mentiranno mai. C’è qualche cosa di mistico nel salire sulla cima di un monte, e nel camminare di qua e di là sopra la cima, che le nubi percorrono ad alta velocità come treni, nel vedere che tu stai sopra la Terra e tra te e il cielo non c’è più nulla, puoi alzare una mano e toccarlo. È una vittoria. Cosa rende questa vittoria incommensurabile? La morte: è una vittoria sulla morte, se sei arrivato fin lì vuol dire che hai superato il limite sul quale tanti altri sono morti. Le cime dei monti non sono mai un punto ristretto, un puntino, sulla cima i monti hanno distese di roccia, cumuli di ghiaccio e di neve. Dire che uno che dichiara di esser salito su un Ottomila in realtà non c’è salito perché a 60 metri da lui c’era un cumulo di ghiaccio alto altri 5 metri non vuol dire fare della precisione ma della denigrazione, si vuole che il titolo di scalatore di quell’Ottomila vada a un altro. La cresta dell’Annapurna, dice Messner, è molto lunga e piana. E soprattutto cambia in continuazione. « Noi arrivammo in una bufera di neve. Facemmo la cresta. Il punto più alto si alterna a seconda dei cumuli di neve, delle cornici che proprio le bufere provocano a quelle quote». Quella non era una condizione rara e particolare: a quell’altezza la bufera di neve si può dire perenne, c’è sempre. I grandi scalatori, come questi dei quali parliamo, quando giungono in vetta se la imprimono in testa con precisione, e quella è la prova che ci sono stati. Lo dico con invidia. Io ho superato di poco i tremila, e mi ricordo che alla fine della mia salita sul sentiero c’eran foto di ragazzini caduti, la prima diceva: “Alessandro, papà e mamma disperati...”: amabile e adorabile Alessandro, vorrei che fossi qui.

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