mercoledì 20 aprile 2022
Le tragedie e gli abissi di cui abbiamo cronaca quotidianamente da una guerra così vicina a noi rafforzano la nostra motivazione nel promuovere quel più di umano che la nostra cultura ha prodotto
Davanti alla Cattedrale di Helsinki, in Finlandia, un momento della preghiera ecumenica in supporto delle persone ucraine

Davanti alla Cattedrale di Helsinki, in Finlandia, un momento della preghiera ecumenica in supporto delle persone ucraine - Reuters

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Le tragedie e gli abissi di cui abbiamo cronaca quotidianamente da una guerra così vicina a noi rafforzano la nostra motivazione nel promuovere e raccontare quel più di umano che la nostra cultura e civiltà ha prodotto in questi secoli.
Mai come oggi è fondamentale impegnare tutti noi stessi in una vera e propria «transizione antropologica» che è alla radice di tutte le altre transizioni e della possibilità stessa di costruire una società e un sistema economico orientati al bene comune.

Ma in cosa consiste questa 'possibile' differenza da coltivare e promuovere? In un bel libro Daron Acemoglu, forse oggi l’economista più noto e brillante a livello mondiale, ha sviluppato – insieme a James Robinson – la teoria del « narrow corridor », ovvero del sentiero stretto dell’equilibrio tra approccio dall’alto, con l’intervento delle istituzioni, e approccio dal basso, fatto di società civile e partecipazione democratica, che rappresenta l’essenza del modello democratico occidentale e si distingue da sistemi sociali dove l’autoritarismo è molto più forte e dominante. Essere consapevoli di questa ricchezza e differenza è ancora più importante dopo i due grandi choc della pandemia e dell’invasione russa dell’Ucraina.

Il rischio post-Covid è infatti quello di un’espansione dell’autoritarismo, magari strumentalizzato da lobby populistiche o militaristiche. Non dimentichiamo le tensioni sociali e gli autoritarismi che sorsero dopo l’epidemia Spagnola del 1918-20 in combinazione e sequenza con il periodo della Grande Guerra, dove oltre a decine di milioni di persone, morì la democrazia nascente in molti Paesi.

L’Unione Europea, oggi, ha probabilmente colto nel segno la direzione di marcia della sostenibilità, mettendo al centro la transizione ecologica e la coesione sociale.
Ma non basta indovinare la direzione verso cui muovere perché nei processi politici e sociali la questione chiave è quella di coinvolgere attivamente i cittadini e renderli attivi e protagonisti in questo percorso. In alcuni illuminanti lavori sperimentali, Bruno Frei e Alois Stutzer individuano tra i fattori che guidano le preferenze umane la cosiddetta utilità procedurale. I due autori dimostrano empiricamente che, prendendo esattamente la stessa decisione, coloro che sono chiamati a votarla sono favorevoli quando sono coinvolti nel percorso della sua costruzione e contrari quando non lo sono.

Proprio per questo motivo non basta indovinare la direzione e l’orizzonte a cui tendere, ma è fondamentale indovinare il processo e renderlo condiviso partecipato.
In questo non partiamo da zero o non parliamo di astrazioni perché abbiamo la fortuna di aver identificato e sperimentato molte promettenti forme di partecipazione e di cittadinanza attiva. Dal consumo e risparmio responsabile del 'voto col portafoglio' che sta trasformando, soprattutto sotto la spinta della finanza verde, i comportamenti delle imprese, alla responsabilità sociale delle imprese stesse, che nasce anche dal genio e dalla sensibilità di una schiera sempre più folta di imprenditori più ambiziosi che non guardano solo al profitto, ma anche all’«impatto» delle loro aziende. Per arrivare alle nuove forme di gestione dal basso di beni comuni.

Attraverso una co-programmazione e co-progettazione nella quale si riconosce il valore di scelte nelle quali amministrazioni locali, enti di Terzo settore e reti della società civile disegnano insieme percorsi di welfare e bene comune. È da questo bellissimo filone di cittadinanza attiva e di azione dal basso che nascono continuamente nuovi frutti come quelli delle comunità energetiche (la forma del 'voto col portafoglio' e della cittadinanza attiva in materia di energia) e dei corpi civili di pace. Ancor più alla radice di tutto questo, i risultati sperimentali dell’economia comportamentale evidenziano le caratteristiche guida di un’arte delle relazioni che è all’opposto di violenza e conflitto (l’uno contro uno fa zero) e genera superadditività (uno che coopera con uno fa tre) costruendo attraverso scambio di doni (alla base degli studi del Nobel per l’economia George Akerlof), reciprocità e costruzione di relazioni di fiducia che alimentano il capitale sociale, percorsi generativi a livello umano, economico e sociale.

Se la transizione ecologica pur in tutte le sue contraddizioni sembra in cammino, sospinta anche dalla pedagogia della catastrofe che ci mette con le spalle al muro e ci costringe a non indugiare e a prendere decisioni, oggi più che mai, alla luce di quello che sta accadendo nell’Europa sconvolta dalla guerra, è necessaria una vera e propria transizione antropologica. E mai come oggi siamo chiamati a sottolineare nella comunicazione, nella cultura e nelle realizzazioni pratiche, a chi rischia di rinnamorarsi dell’«uomo forte» e di Leviatani che promettono di proteggerci dal caos, che l’essenza della nostra civiltà è alimentata da questa radice.

Economisti, Becchetti insegna nell’Università romana di Tor Vergata, Cozzi nell’ateneo svizzero di St.Gallen

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