sabato 31 ottobre 2015
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L'annunciato passo avanti sull’informatizzazione della scuola italiana (ben un miliardo pronto da spendere fino al 2020) fa venire in mente quel detto cinese: «Dai un pesce a un uomo e lo nutrirai per un giorno, insegnagli a pescare e lo nutrirai per tutta la vita». Solo, non si capisce quale parte del proverbio stia per avverarsi. Fuor di metafora, va verificato con attenzione se e come «classi con connessioni ultra-veloci, studenti interattivi, tablet e smartphone sui banchi, edifici scolastici innovativi», come recita il Piano nazionale della scuola digitale appena presentato, equivalga a «costruire una visione di educazione nell’era digitale». Certo, la scuola italiana cincischia da anni con il progresso (e proprio per questo si è pensato a un Piano ambizioso che rompesse gli indugi). Già un paio d’anni fa una circolare ministeriale minacciava di esclusione quei libri di testo che non si fossero dotati di «integrazione digitale». Non se n’è fatto quasi niente, e gli editori hanno partorito poco più che versioni su schermo dei libri in formato classico. Il passo avanti è dunque non più rinviabile, a patto di accertarne la direzione. Ma dovrà essere per forza un passo nella direzione di 'più tecnologie'? Il punto di arrivo sperato è quello di 'studenti più interattivi', dotati di più gadget elettronici? Bambini e ragazzi sono già molto interattivi. I tre quinti di loro già a sette anni possiede un telefono cellulare, che per lo più ormai è uno smartphone, vale a dire un vero e proprio terminale Internet, capace di connettersi e operare come un pc. L’interattività è certamente un progresso, ma chiunque abbia a che fare con i ragazzi constata come l’odierno eccesso di stimoli spesso induca più distrazione che arricchimento. Parcheggiare un ragazzo davanti al Web equivale ad aprirgli un’infinità di piste in cui nessuna è prioritaria, nessuna è privilegiata. Tablet e lavagne elettroniche rischiano di essere supporti ambigui se manca una strategia educativa. Il piano genericamente la prevede, a cominciare dagli insegnanti, ma occorre capire bene quali siano gli indirizzi da assumere. Visto che la realtà quotidiana di bambini e giovanissimi è già tutt’altro che priva della dimensione interattiva, forse l’educazione digitale dovrebbe partire proprio dall’imparare a selezionare criticamente fonti e informazioni, mettendole a confronto con riferimenti personali e sociali durevoli tramite contenuti appositamente concepiti. Ragazzi che usano continuamente il Web ma che s’informano sul mondo soltanto tramite Facebook e altri social network, che non leggono alcun giornale (nemmeno digitale), come accade oggi alla stragrande maggioranza di loro, saranno pure interattivamente evoluti ma non sono potenziali cittadini integrati.
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