Strade di pace. Oltre le guerre
giovedì 24 agosto 2023

La cifra che viene in mente, quando pensiamo alla guerra, è 2.200 miliardi, corrispondente a quanto gli Stati del mondo hanno speso nel 2022 per il mantenimento dei propri eserciti. In realtà, quella calcolata dall’Institute for Economics & Peace per lo stesso anno, sale a 17mila miliardi di dollari equivalenti al 12,9% del prodotto lordo mondiale. Una cifra comprendente non solo le spese per gli apparati militari e per l’acquisto di armi, ma anche i danni materiali ed umani provocati dalle guerre nonché i mancati miglioramenti economici e sociali che si sarebbero potuti avere se le risorse fossero state usate per fini pacifici invece che violenti.

L’istituto che ha effettuato i calcoli ha la sua sede principale a Sydney e come obiettivo quello di esaminare le tendenze in atto nel mondo e nei singoli Paesi rispetto alla pace e alle scelte di morte. I criteri di valutazione utilizzati sono vari. Alcuni più tradizionali, come il livello di spesa militare, di terrorismo, di conflitti armati, di conflitti e crimini interni. Altri più innovativi, come quello di pace positiva, che si configura con la presenza di una serie di condizioni necessarie a garantire relazioni pacifiche all’interno della società.

L’Istituto ne individua otto che non pone in ordine gerarchico, ma circolare, ad indicare che sono tutte necessarie per ottenere come risultato una società pacifica. L’elenco comprende la stabilità governativa, la solidità economica, il riconoscimento dei diritti politici e civili, buone relazioni con gli altri Paesi, libertà di stampa, alti livelli di formazione culturale e scientifica, basso livello di corruzione, equa distribuzione delle risorse. Per ogni condizione, l’istituto ha stabilito un sistema di valutazione, che utilizza per passare al vaglio le singole nazioni. Quindi somma tutti i punteggi ottenuti e determina il grado di pace positiva in cui si trova ogni Paese.

Da questo punto di vista, lo Stato che si posiziona al primo posto è la Norvegia, seguita da Finlandia e Danimarca, tenendo conto che le graduatorie dell’Istituto vanno sempre dal migliore al peggiore. In termini di pace positiva, l’Italia si colloca al 28° posto dietro al Portogallo e all’Uruguay. Ma non va molto bene neanche in altri ambiti. Ad esempio, si colloca al 132° posto, addirittura dietro alla Cina, per quanto riguarda la politica degli armamenti. Un aspetto che tiene conto della spesa militare, dell’incidenza di personale armato sul totale della popolazione, dell’import-export di armi, dei contributi versati alle missioni di pace delle Nazioni Unite, della presenza di armi nucleari e pesanti. Facendo una media di tutti gli ambiti esaminati, il Paese con la più alta propensione alla pace è l’Islanda seguita da Danimarca e Irlanda, mentre l’Italia si colloca al 34° posto.

L’Institute for Economics & Peace pubblica annualmente i risultati delle sue ricerche in un rapporto intitolato Global Peace Index. L’ultimo uscito segnala che nel 2022 lo stato di pace è migliorato in 84 Paesi e peggiorato in 79. Ciò nonostante, il bilancio complessivo è peggiorativo e ciò avviene per il nono anno consecutivo. Diversi conflitti hanno contribuito al risultato. Non solo la guerra in Ucraina, che secondo l’Istituto ha prodotto lo scorso anno 82mila morti, dato sottostimato, ma anche quella in Tigray, nel Nord dell’Etiopia, con 100mila vittime.

Nel 2022 i morti dovuti ai conflitti sono cresciuti del 154% in Mali e dell’87% in Myanmar, con un aumento esponenziale delle vittime civili in ambedue i casi. Al contrario, le morti violente si sono ridotte del 91% in Afghanistan e del 63% in Yemen.

Nelle sue considerazioni finali, il rapporto sottolinea come violenza e pace siano due fenomeni estremamente contagiosi. I fatti dicono che le scelte di pace o di guerra operate in una nazione influenzano gli orientamenti dei Paesi vicini. Come esempio di influenza negativa il rapporto cita l’Europa dell’Est.

L’invasione della Crimea da parte della Russia nel 2014 provocò un aumento delle spese militari in tutti i Paesi dell’area. Non solo in Ucraina, ma anche Bielorussia, Lituania, Latvia ed Estonia. Al contrario l’Africa occidentale rappresenta un esempio virtuoso. La fine dei conflitti in Liberia, Sierra Leone, Costa d’Avorio, ha indotto tutti i paesi della costa occidentale a virare verso una riduzione delle spese militari e di personale armato, liberando risorse per le spese sociali. Il risultato è stato anche la scomparsa del terrorismo jihadista che nei paesi costieri ha prodotto zero morti nel 2022, mentre nei Paesi del Sahel, come Burkina Faso e Mali, ha prodotto rispettivamente 1.135 e 994 morti. La realtà, insomma, ci insegna che se si prepara la guerra si ottiene la guerra e che l’unico modo per ottenere la pace è fare scelte che seminano rispetto, fiducia e giustizia.

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