Cattolicesimo per immagini: salviamo le fonti audiovisive
venerdì 22 marzo 2024

Anche il Papa ha sottolineato il ruolo di questa forma di memoria. Ma ci sono problemi culturali e tecnici che vanno affrontati Va compreso con urgenza il tema della conservazione del patrimonio storico, con buone pratiche che considerino i filmati come beni culturali e incentivino la loro raccolta e tutela Nel 2021 Papa Francesco, nel corso di un’intervista che ha voluto concedermi e poi pubblicata nel volume Lo sguardo: porta del cuore. Il neorealismo tra memoria e attualità (Effatà, Cantalupa 2021), si esprimeva in maniera molto decisa sull’importanza delle fonti audiovisive come testimonianza per la storia del cattolicesimo e sottolineava la necessità di «essere bravi custodi della “memoria per immagini”». A lla definizione dei contorni di questa sfida culturale globale faceva seguire una più approfondita disamina della questione: «Viviamo nel tempo dell’immagine e questo tipo di documenti è ormai diventato per la nostra storia – e sempre più lo diventerà – un complemento permanente alla documentazione scritta. Per di più si tratta di documenti dal carattere intrinsecamente universale perché trascendono i confini linguistici e culturale e possono essere compresi con immediatezza da tutti». Terminava le sue riflessioni sottolineando l’importanza di fare di più per non disperdere un patrimonio che, pur molto recente, «è paradossalmente molto fragile e necessita di costanti cure». L e parole del Papa rilanciavano quelle riflessioni che avevano in passato portato a considerare con sempre maggiore chiarezza l’impossibilità di ricostruire la complessa e articolata vicenda del rapporto tra la Chiesa e i media audiovisivi separandola dall’orizzonte di una più ampia e sfaccettata storia della cultura. Questo approccio, capace di intrecciare sapientemente l’impianto culturalista e l’impianto storicista, è stato quello che ha caratterizzato, e caratterizza tuttora, lo sviluppo di questo filone di studi in Italia. Da un lato, una grande attenzione alla documentazione di archivio, ma pensando quest’ultima nell’ottica ampia che va dal documento tradizionale al documento audiovisivo conservati negli archivi e nelle cineteche istituzionali fino all’ampio novero delle fonti che la nuova storiografia ha recepito. D all’altro, un taglio culturalista attraverso il quale si mettono invece al centro del discorso conoscitivo soprattutto le dinamiche di fruizione e gli studi sul pubblico. Rileggere e reinterpretare la questione attraverso questi nuovi approcci significa dunque utilizzare uno sguardo inevitabilmente transdisciplinare, capace di mettere in dialogo competenze, bagagli professionali, approcci ermeneutici e attrezzi del mestiere, espressione di mondi accademici diversi e, talvolta, distanti. L’ importanza riconosciuta nel dibattito storiografico e accademico alle fonti audiovisive per la storia del cattolicesimo, però, non ha posto un freno all’accumularsi di un ritardo nelle buone pratiche di conservazione e salvaguardia del patrimonio storico audiovisivo che da tempo caratterizza buona parte del mondo cattolico: è un fatto evidente cioè che rispetto alle efficaci politiche di tutela e sensibilizzazione alla conservazione del patrimonio audiovisivo già da tempo avviate da istituzioni statali e organismi internazionali specializzati, la Chiesa cattolica nel suo complesso sia rimasta sostanzialmente indietro, perdendo irrimediabilmente già tanta parte della sua memoria audiovisiva capillarmente diffusa in ogni parte del mondo. I n mancanza di un centro propulsore capace di convogliare interessi culturali e pratiche archivistiche e di dettare una linea di indirizzo organizzativo uniforme per il grande tema della conservazione del patrimonio storico audiovisivo, le realtà cattoliche si sono mosse, pur dimostrando a volte una ammirevole capacità di anticipare i tempi, in forzata autonomia e in modo scoordinato. I n questo panorama, il tema della conservazione del patrimonio storico è senza dubbio centrale. Questa presa d’atto circa la necessità di buone pratiche di preservazione e di una corretta valorizzazione dei documenti audiovisivi, intesi come “beni culturali”, ha implicazioni trasversali che riguardano sia le più contingenti pratiche d’archivio, sia le successive riflessioni sul supporto come fonte storica. Da queste considerazioni, che sono comunque il frutto di stagioni di dibattito e confronto, deriva la necessità culturale di non eludere la sfida che viene posta dalla volontà di conservazione della documentazione originale. Q uesto apre il campo, ovviamente, a un approccio interdisciplinare che sembra ormai imprescindibile e che deve far coesistere sul medesimo livello di intervento studiosi dei media, enti conservatori e tecnici specializzati. Si tratta di affiancare alle novità impresse dal cosiddetto digital turn, il momento cioè in cui le tecnologie digitali si sono rese indispensabili per l’attività di ricerca specialistica, quelle altrettanto innovative e decisamente più recenti che stanno emergendo da quello che è stato definito un vero material turn, volto a sottolineare l’interazione palpabile con il materiale in contrapposizione all’esperienza della percezione immateriale dell’accesso digitale. A questo quadro di metodo si aggiunge quindi l’orizzonte del restauro, tema da sempre molto controverso. Se è vero che nel momento in cui si operano modifiche del segnale originale può risultare facile smarrire l’orizzonte dei limiti dell’intervento possibile, è pur da considerare che in molti casi interventi di questo tipo hanno permesso di riscoprire alcuni tesori che si reputavano perduti, rispettando peraltro quell’obiettivo che lo storico dell’arte Cesare Brandi indicava molto chiaramente come fine ultimo del restauro: « La preservazione delle opere in vista della trasmissione al futuro». T rovare una chiara linea di liceità dell’intervento, però, non è operazione tanto banale visto che la tecnologia più moderna ci pone davanti a nuove sfide e dirimenti scelte da compiere. Si prenda ad esempio il grande tema emergente dell’Intelligenza artificiale, uno strumento che restituisce un prodotto che è frutto di un addestramento senza alcun indice di ripetibilità o reversibilità e in cui per la prima volta non esiste un diretto parametro inverso dell’operazione. Si tratta quindi di un processo creativo automatizzato che conduce a sempre nuovi dati “aleatori”, difficilmente ripetibili e privi di un chiaro percorso procedurale. I n questo senso, davanti alla possibilità che ci viene concessa di contrastare il rischio sempre più incombente della obsolescenza e la conseguente perdita di parte del patrimonio storico legato alla nostra “storia per immagini”, dobbiamo essere consapevoli che la IA, seguendo un modello statistico-matematico, ci permette di eseguire un’attività di restauro “percettivo” in cui ciò che viene generato deve essere considerato un’opera unica e, come tale, diversa da quella di partenza. Il processo condotto da questo “nuovo medium” della contemporaneità si sviluppa facendo riferimento a qualcosa al di fuori del contenuto stesso del materiale restaurato: interpolandolo il segnale originale con i dati dell’addestramento, infatti, si prescinde dal contenuto e si generano artefatti considerati come dei risultati del tutto nuovi. D inanzi a questa “svolta algoritmica” si aprono due generi di questioni da affrontare con grande urgenza: 1) bisogna ristabilire, soprattutto tra le generazioni di più giovani, il peso delle parole e la distanza che separa le idee che le riempiono, cosa è autentico, cosa nuovo e non più copia dell’originale; 2) per fare in modo che possano essere uno strumento veramente utile al restauro e alla preservazione, bisogna chiedere modelli di AI predittibili e reversibili perché sia possibile invertire le operazioni e risalire al dato originale. Si tratta di una sfida culturale globale che, come detto, coinvolge diversi attori, ma dalla quale dipende la salvaguardia di un patrimonio fondamentale per la memoria del nostro passato e per la storia della cultura nel suo complesso.

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