mercoledì 14 ottobre 2015
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A Sinodo sulla famiglia in corso non è forse inutile tornare sul Motu proprio con il quale, poche settimane fa, papa Francesco ha fortemente innovato le procedure per l’ottenimento dell’eventuale dichiarazione di nullità dei matrimoni contratti dai cattolici ha dato luogo a una serie di commenti, quasi sempre favorevoli, che hanno interessato soprattutto i giuristi. Ma il tema presenta anche un interessante risvolto pastorale, sul quale mette conto di richiamare l’attenzione di quanti operano da molti anni, come chi scrive, nell’ambito della pastorale familiare.Non è infrequente il caso di richieste di nullità presentate a breve, e talvolta a brevissima, distanza dalla celebrazione delle nozze con il rito cattolico. Agli occhi di qualcuno la Chiesa appare una istituzione che "fa" e insieme che "disfa"… come è possibile, infatti, che si celebri un matrimonio in Chiesa e che poi la stessa Chiesa possa dichiararlo "non avvenuto"? Rimettendo alla professionalità dei giuristi la valutazione dei casi concreti, sul piano pastorale si deve constatare che non poche volte dietro le dichiarazioni di nullità sta una inadeguata verifica della qualità del consenso. Vi sono matrimoni contratti per "legittimare" una gravidanza magari indesiderata (i casi sono oggi, in clima di diffuso permissivismo, meno numerosi che in passato, ma esistono ancora) o anche per venire incontro alle richieste di un presunto "coniuge" (non di rado straniero) in vista di una serie di benefici, a partire dall’acquisizione della cittadinanza.Quale che sia, comunque, la causa della "nullità", ci si deve pastoralmente domandare se siano stati realmente effettuati quei cammini di fede che la Chiesa propone (e, almeno teoricamente, impone) a tutti i nubendi e se il celebrante realmente, personalmente, ha attentamente verificato la qualità del consenso (ma è nota l’usanza di celebrare i matrimoni - talora sottraendosi a un serio cammino di fede - in santuari e chiese monumentali, in talune delle quali vigono "tempi di attesa" a volte di molti mesi…).È proprio certo che dalle "maglie" di un percorso pastorale che la Chiesa italiana, con solenni e più volte riaffermati documenti, esige per tutti coloro che vogliano celebrare il matrimonio con il rito cattolico, fuoriesca una componente che, in un modo o nell’altro, rifugge da questo percorso, magari ricorrendo a "parroci amici", a ben disposti religiosi, a presbiteri critici nei confronti di "direttive calate dall’alto"?Sarebbe importante che delle dichiarazioni di nullità emanate nelle varie diocesi venisse data notizia (in tutta riservatezza) agli Uffici della pastorale familiare competenti per territorio. Si potrebbe così verificare se matrimoni spesso frettolosamente celebrati e altrettanto rapidamente dichiarati nulli non siano anche il frutto di silenzi e di omissioni. Non si tratta di operare censure o di comminare sanzioni, ma di aiutare tutta la comunità ad affrontare con coraggio e con lungimiranza – non con pressapochismi e frettolosità – un momento decisivo per il futuro della famiglia e della stessa Chiesa: la preparazione a un matrimonio che, per essere cristiano, deve essere prima di tutto autentico e come tale non esposto, salvo casi particolari, a successive dichiarazioni di nullità.
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