mercoledì 17 ottobre 2012
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«Quando ti svegli al mattino senza sapere dove andrai, senza avere nulla in mano per nutrire i tuoi figli, questa è violenza. Quando sei obbligato a lottare con l’altro per proteggere le poche cose che possiedi, questa è violenza. Quando sei sempre costretto ad abbassare la testa, a chiudere gli occhi, a non parlare, a far finta di non sapere nulla, questa è violenza».Sono le parole di una madre di Haiti che vive in condizioni di estrema povertà.Il 17 ottobre di 25 anni fa, nel 1987, la Giornata Mondiale del rifiuto della miseria è stata celebrata per la prima volta da Padre Joseph Wresinski sul Sagrato dei diritti umani del Trocadero, a Parigi. La Giornata, com’è noto, è stata in seguito fatta propria dall’Onu, nel 1992, e da allora viene celebrata in tutto il mondo con una vasta partecipazione dei più poveri, delle famiglie e delle istituzioni.Il tema scelto quest’anno dal Movimento internazionale per la Giornata mondiale è «Poniamo fine alla violenza della miseria. Costruiamo la pace con le risorse di tutti», e le parole di questa madre di Haiti, appena ricordate, danno molto bene il senso del legame tra violenza e miseria. La miseria in sé stessa rappresenta una vera e propria violenza che impedisce alla nostra società di essere in pace e costruire quei legami di solidarietà e prossimità che fanno di una società una comunità.Nell’ambito del suo programma d’azione 2008-2012 – "Unirsi per un mondo senza miseria" – il Movimento internazionale Atd Quart-monde ha sviluppato un’azione di approfondimento conoscitivo di questa tematica. La ricerca ha coinvolto 25 paesi ed è stata presentata nel gennaio scorso in un Convegno internazionale dell’Unesco. Pace e miseria sono due parole che vanno difficilmente d’accordo. Ma come si può allora costruire la pace? Solo «se la violenza scompare, la pace può prenderne il posto». Ma perché la violenza scompaia bisogna «rompere il silenzio» che avvolge le situazioni di estrema povertà. I più poveri sono invisibili, spesso ignorati; disturbano la nostra tranquillità e le nostre coscienze. Inoltre sono gli stessi poveri ad alimentare il silenzio nei riguardi della propria situazione. «Per non peggiorare la nostra situazione – li senti dire a volte – e perché è un modo di resistere per non cadere nel cerchio della violenza».Il problema quindi è che anche il silenzio dei poveri nasconde la violenza. È necessario allora prendere coscienza della condizione di sofferenza dei più poveri e del silenzio a cui sono costretti. In questo modo restituiremo loro il senso della comunità, dei rapporti umani significativi e dei legami di prossimit. Li aiuteremo a riprendere fiducia in sé stessi e negli altri, e quindi a costruire la pace insieme a noi.Padre Joseph Wresinski afferma nel suo libro I poveri sono la Chiesa (Jaka Book, 2009, pag. 37) che «i più poveri sono l’arteria per cui bisogna che il sangue scorra per irrigare tutto il corpo. Se l’arteria è ostruita, il corpo tutto intero muore». Se abbandoniamo nel silenzio i più poveri e non siamo scandalizzati dalla violenza della miseria, non riusciremo a costruire la pace, e la nostra comunità morirà o peggio ancora non vedrà mai la luce. È necessario allora impegnare le risorse di tutti e costruire la pace insieme, partendo però dai più poveri, poiché «quando non sappiamo prendere coscienza che i più poveri sono creatori di pace, non possiamo proporci di costruire la pace».Mercoledì sera alle 18, come ogni anno, ci ritroveremo intorno alla Lapide sul Sagrato di San Giovanni in Laterano a Roma per una celebrazione interconfessionale, in collaborazione con la sezione italiana della Conferenza mondiale delle religioni per la pace (Wcrp Italia) e per la commemorazione delle vittime della miseria.
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