Solo limite sensato e responsabile alla libertà è il rispetto
sabato 13 aprile 2024

Caro Tarquinio, papa Francesco ricevendo in udienza la dirigenza Rai, ha ribadito responsabilità e ruolo della comunicazione in uno scenario di conflitti estesi. La comunicazione deve essere dialogo per il bene comune, davvero di tutti. Come lavoratore dell’audiovisivo anch’io mi sento investito da queste parole. E dall’invasione della Russia all’Ucraina ho provato nel mio piccolissimo a fare qualcosa. Una di esse, proprio all’inizio del conflitto, fu un appello pubblico (sui giornali) ai direttori delle tv nazionali a trasmettere film a tematica nucleare (civile e militare) e bellica per aiutare il dibattito e la presa di coscienza sui rischi di una guerra del genere che non vedrebbe vincitori. Citavo tre film come esempio (due particolarmente noti come “The Day After” e “Wargames” con la celebre frase «l’unica mossa vincente è non giocare»). Questo invito l’ho sottoposto anche privatamente ricevendo cortesi riscontri e una risposta comune dai vari interlocutori: il progetto era interessante, ma non facilmente compatibile per problemi di library (acquisizione di titoli). In realtà i film che proponevo erano solo un esempio , sono davvero tanti i papabili, tra l’altro trasmessi spesso da questi reti, dallo spionistico alla Tom Clancy (“Caccia a Ottobre Rosso” e “Al vertice delle tensione”) alla satira alla Landis (“Spie come noi”) passando per b-movie come “Superman IV “ a film di impegno civile come “Sindrome cinese” o a poesie in immagini come “Rapsodia in agosto” e ”Hiroshima Mon Amour”. L’idea era di raggrupparli in un ciclo tematico piuttosto che mandarli sparpagliati, ripristinando la formula dei Film dossier (cinema +dibattito e approfondimento storico/scientifico) della tv di Piero Angela e Mino Damato. Erano gli anni 80 del Novecento, e c’era ancora la Guerra Fredda, non dissimili dai nostri. Si tratta di un’idea semplice e a basso costo e dal valore didattico, sociale come dovrebbe essere la tv pubblica che auspica il Papa. Insomma, un peccato aver trovato un “Muro di gomma” (tanto per citare un altro film di impegno civile) alla proposta. Si obietterà che, certo, non sono dei film a cambiare il mondo: possono però far riflettere. E si obietterà che è dall’altra parte (quella dell’aggressore, in Russia) che si dovrebbe soprattutto prendere coscienza: io però vivo in Occidente e qui la propongo. E si obietterà che non bisogna creare allarmismo e bisogna svagarsi un po’: ma forse ci siamo distratti tanto e troppo negli ultimi anni. È solo un piccolo contributo dal basso a diffondere una cultura di pace. Come dice il cardinale Zuppi: «La pace riguarda tutti e tutti devono contribuire». Siamo tutti possibili costruttori e operatori (comunicanti, comunicativi, comunicatori) di pace.

Daniele Piccinini


Caro Tarquinio, “C’è ancora domani”, l’ultimo film di Paola Cortellesi che è entrato di slancio tra i primi dieci film italiani come numero di spettatori e d’incassi di tutti i tempi, acquistato da molti Paesi europei, già in programmazione da tempo nelle sale cinematografiche; giudicato il miglior film italiano del 2023, viene offerto dalle piattaforme televisive digitali di Netflix e di Sky, ma non viene mandato in onda dalla Rai. Tanto rumore sulla vecchia

Televisione di Stato, che ancora e sempre deve rendere conto ai governi

(e alle maggioranze che li sostengono), dove in questa stagione i programmi che continuano a essere gratificati da maggior ascolto sono condotti da giornalisti o artisti non esattamente allineati con il governo Meloni , mentre molti di quelli di successo sulle reti private sono ideati e realizzati da conduttori e giornalisti che lavoravano in Rai e sono stati epurati o spinti ad andarsene dal Governo, Augias e Fazio su tutti. Sono colpito anche dal fatto che non pochi dei nuovi programmi ideati dalla nuova Rai sono veri flop, e sono stati addirittura sostituiti in corsa. Dovremmo porci una domanda:

la cultura italiana nata dal dopoguerra è arrivata modificandosi sino ai giorni nostri è morta?

Oppure la vuole sopprimere per farci ritornare, con iniezioni di vecchio e nuovo individualismo, a quella cultura prebellica, che permise e sostenne una dittatura lunga oltre vent’anni?


Enrico Reverberi


Caro Marco Tarquinio, provo a ragionare anch’io, brevemente, sulla pubblicità di un’industria alimentare che trasforma le ostie consacrate in patatine fritte. Penso che non si possano fare tanti distinguo: ognuno di noi è “sacro”,

come in cielo, così in terra...

E dovrebbe essere rispettato nei suoi sentimenti religiosi e nei suoi pensieri. Lo scherno scaraventato in forma di spot pubblicitario, o in qualunque altro modo, è come un

male dire

e come tale è, per me, una colpa. Inoltre, se il bersaglio è ben protetto dalla sua bontà, dalla scelta di non reagire al male col male,

sovente codeste angherie tornano al mittente...

Ricordo nel mio piccolo e con ironia ai pubblicitari che è opportuna molta prudenza nel maneggiare tutto questo: certe diavolerie, possono scappar di mano.


Patrizia Sole


Gentile Tarquinio, sono rimasto colpito e addirittura sconvolto dallo spot che sugli schermi televisivi ha reclamizzato delle patatine fritte utilizzando l’Eucaristia offerta da un sacerdote durante la Messa a una suora, qualificando quei croccanti bocconi come cibo “divino quotidiano”.

È mai possibile che tra creativi e committenti nessuno si sia accorto

di quanto era pesante e persino empio ciò che andavano realizzando?


Flavio Parisi


Nessuna legge e nessuna direttiva politico-amministrativa, italiana o europea, possono a mio parere dirigere sino a “commissariare” la libertà di coloro che sono attori e protagonisti del mondo della comunicazione, specialmente di quanti – per mestiere e in una chiara cornice di doveri civici e morali – si assumono il compito di informare i propri concittadini. Ma l’esercizio responsabile di questa libertà dovrebbe stare a cuore a tanti: a chi organizza e dirige questa dimensione essenziale della vita comunitaria, a chi la abita da fruitore (cioè da lettore, spettatore o ascoltatore potenzialmente sempre più partecipe e interattivo), a chi da soggetto che è, e che non smette di essere, si ritrova a essere “oggetto” di processi e persino vortici comunicativi. L’importante, per la mia ormai lunga esperienza di giornalista, è che tutti abbiamo chiaro che le regole possono accompagnare la vita e il mestiere delle persone (e più lo fanno con rispetto ed efficacia, meglio è), ma non possono diventarne il senso. Una sorta di senso esterno. C’è un senso interno, personale e comunitario, a me piace parlare di “consapevolezza ben formata e informata” che può e deve restare centrale e decisiva. So che può sembrare un discorso complicato, ma in realtà è piuttosto semplice.

Prendiamo il caso delle patatine usate come ostie consacrate in uno spot pubblicitario. Quella scelta – come ha svelato subito Francesco Riccardi attraverso Avvenire.it e come le annotazioni successive su queste pagine di Lucia Bellaspiga e Andrea Lavazza hanno aiutato a comprendere – è stata l’ennesima trovata premeditata per suscitare clamore senza curarsi delle “ferite” più o meno profonde che poteva provocare e di cui la lettera del signor Parisi è una breve ed eloquente testimonianza. La premeditazione è confermata dal fatto che lo spot è stato confezionato in tre maniere distinte, con diversa e via via attenuata gradazione del contenuto “urtante” per la sensibilità religiosa di spettatori cristiani o anche soltanto attenti ai sentimenti altrui. Il serio errore della manovra è stato sottolineato dalla sonora bocciatura dello spot nella sua versione più sconcertante e per tanti offensiva decisa dal Comitato di controllo dell’Istituto di autodisciplina pubblicitaria (Iap), una realtà che è espressione dell’intesa tra gli operatori dei media e della comunicazione commerciale. È stato azionato cioè un “freno di coscienza” che non viene usato di frequente e non dipende da un imperativo normativo, ma da una scelta di autoregolazione. Non era affatto scontato che accadesse. È un messaggio positivo che aiuta a capire che cosa intendo quando parlo di “senso interno” che consente di vivere con responsabilità la libertà di espressione, che è insopprimibile e che fiorisce non solo quando si ferma davanti al confine della libertà altrui, come siamo soliti proclamare, ma quando della libertà e sensibilità altrui la nostra libertà è complementare, interpretando il confine, il limite, non come il posto della separazione forzosa e forzata, dell’incomunicabilità e dunque dell’incomprensione, bensì, al contrario, come il luogo dell’incontro possibile. È questo – teniamolo a mente – che crea anche le condizioni della concittadinanza e di un’essenziale moralità condivisa.

C’è libertà ovviamente di pensarla diversamente, anche tra i credenti, ma non ci vuole molto a capire che esistono realtà e simboli sacri – e l’Eucaristia per i cristiani lo è certamente – con i quali non si dovrebbe mai giochicchiare malamente, soprattutto per farci su degli affari, per realizzare un puro e semplice profitto. Magari senza tener conto – sul punto sono molto d’accordo con l’amica Patrizia Sole – che certe provocazioni finiscono spesso per ritorcersi contro chi le architetta e realizza.

Cosa completamente diversa è, invece, accostarsi con il sorriso a Cristo e alla sua figura, magari per riflettere con ironia sui casi del nostro tempo. Chi ha esperienza di vita e animazione pastorale in parrocchia o in gruppi e movimenti associativi lo sa bene. E tanti lettori e lettrici ricordano che è una possibilità che ho sempre sostenuto, e credo anche praticato e dimostrato in qualche momento dei miei molti anni di lavoro per “Avvenire”, con le riflessioni condivise davanti a casi di cronaca duri e persino terribili (come quelli delle stragi legate alle vignette satiriche di “Charlie Hebdo”) e soprattutto con la solare, intensa e non solo per me indimenticabile collaborazione con Sergio Staino e il suo “Jesus”.

Le ultime righe, in risposta alle lettere di Daniele Piccinini e di Enrico Reverberi, le dedico con una certa soddisfazione di cittadino europeo alla ancora recente approvazione dell’European Media Freedom Act. Una legge europea in tema di pluralismo e libertà dei media che, nonostante alcune ombre come quelle sugli spiragli lasciati alla possibilità di spiare il lavoro dei cronisti, quando sarà a regime (perché tradotta in tutte le lingue della Ue) porterà finalmente a un deciso cambiamento nel governo delle tv pubbliche all’insegna dell’indipendenza e della trasparenza nei rapporti con governi e assemblee parlamentari. Vale per l’Italia e per la Rai, azienda straordinaria per storia e professionalità, ma anche campo di autoaffermazione dei potenti di turno e vale per i Paesi membri che inclinano verso le cosiddette “democrature” (come l’Ungheria di Orbán, che perciò ha contenziosi aperti con la Ue) e tengono sotto stretto controllo soprattutto tali sistemi mediatici. Che anche a mio giudizio dovrebbero essere in prima fila nell’alimentare la consapevolezza dell’opinione pubblica, cioè della cittadinanza, sul rischio rappresentato dalle guerre in atto e dal bellicismo dilagante in Europa e nel mondo. Proprio secondo la lettera e lo spirito dell’invito che papa Francesco ha rivolto agli uomini e alle donne della Rai accolti in udienza per i 70 anni della tv e i 100 della radio in Italia. Ma visto e considerato che tutti i sondaggi, da molti mesi attestano che, comunque, questa consapevolezza tra i semplici cittadini è altissima, forse il ripasso della storia e di grandi film-verità sarebbe utile soprattutto a governanti e veri o presunti opinion leader. I soli limiti sensati alla libertà responsabile di comunicare e informare è il rispetto dell’altro (che non è mai sinonimo di servo encomio, che non merita codardi oltraggi). E la guerra è la più assoluta e radicale mancanza di rispetto per tutto ciò che è umano e, per chi crede, anche per il fraterno disegno che Dio ha affidato alla nostra libertà.

P.S. Se poi ai giornalisti del servizio pubblico radiotv (la Rai, appunto) sarà sempre garantito il diritto di fare domande ai politici di ogni colore (pure di maggioranza) e a costoro spetterà un costante dovere di risposta e di rispetto del giusto limite, sarà una buona notizia per tutti. Anche per la nostra democrazia.

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