giovedì 25 settembre 2014
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Ho letto ragionamenti su un presunto rovesciamento dei valori di «solidarietà» e «uguaglianza» operato dal premier Renzi a favore di «merito» e «talento». E ho visto che qualcuno si è spinto a definirlo un rovesciamento di valori tipicamente «comunisti» e «cattolici». Dei valori comunisti non saprei, però sul fatto che il «talento» sia qualcosa che c’entra con la tradizione cattolica, ci metterei la mano sul fuoco. Ritengo poi che anche sulla contraddizione tra solidarietà, uguaglianza e merito ci sia parecchio da dire. Provo a sviluppare l’affermazione, anche riprendendo il filo di riflessione sulla necessaria cautela nel maneggiare il termine «meritocrazia» avviato dal direttore di questo giornale l’11 settembre scorso.  Il talento nell’antichità conosciuta dagli evangelisti era una enorme somma di denaro, che nel Vangelo di Matteo viene affidata ad alcuni servi per essere custodita. Solo che non tutti i servi interpretano correttamente il compito loro affidato, alcuni mettono a frutto il talento, lo investono e così facendo restituiscono al padrone un capitale aumentato. L’ultimo servo invece – timoroso – lo nasconde per paura di perderlo. Così, di fatto, diminuisce il suo valore.  Senza alcuna velleità esegetica mi pare evidente che ciò che Gesù suggerisce in questa parabola non è certo l’annullamento, il nascondimento, del talento ricevuto, bensì la sua piena valorizzazione. Al contrario, mi pare la nostra una società stagnante dove spesso il talento è stato nascosto, se non negato. Affermare però che ciò sia da attribuire alla tradizione cattolica mi pare assai discutibile.  Ma forse, mi dico, chi sostiene questa tesi voleva intendere che valorizzare i talenti produce diseguaglianza ed essendo la cultura cattolica fondamentalmente egualitaria…. Qui però va inteso cosa significhi eguaglianza. Io, cattolico e cittadino, credo nell’eguaglianza dei diritti, delle opportunità, soprattutto della dignità e mi sento in questo totalmente sostenuto dalla mia Chiesa. Non credo certamente in un’eguaglianza intesa come annullamento delle differenze. Le differenze esistono, sono un dato di realtà, negarle – come mi pare avvenga oggi di frequente – porta a delle conseguenze nocive, sia a livello individuale, sia sociale.  Dunque arriviamo all’ultimo punto, c’è contraddizione tra solidarietà e merito? Io credo che il merito riguardi profondamente la libertà dell’uomo: ciascuno, infatti, si può impegnare nella realtà mettendo a frutto i propri talenti, se vuole.  Può certamente capitare che questo impegno non venga riconosciuto, ma impegnarsi o meno è sempre frutto di una decisione personale. Il fatto che valorizzare le proprie potenzialità porti un vantaggio personale o collettivo viene poi, prima c’è una libera decisione.  Certamente posso sostenere, da psicologo, che scoprire, riconoscere e, quindi, mettere a frutto i propri talenti è qualcosa che favorisce lo sviluppo armonico della propria persona e, conseguentemente, produce benessere per sé. Inoltre, dato che ciascuno di noi è inserito in un corpo sociale, lo sviluppo personale potrà in qualche modo tradursi in uno sviluppo collettivo. E so bene che la visione cristiana della vita a questo esito comunitario porta.  Tuttavia è sicuramente vero che nella nostra società ci sia il rischio che lo sviluppo del proprio talento venga vissuto in modo autonomo, ripiegato, indifferente a quella rete di rapporti che ci lega, o dovrebbe legarci, alla nostra comunità. Ma questo certamente non è da imputare alla tradizione cattolica, se mai a un eccesso di individualismo che affonda le sue radici nella progressiva scristianizzazione post-umanista.  Così provo a concludere. Credo che la nostra società e il nostro Paese possano solo trarre giovamento da un maggiore riconoscimento del talento e del merito delle donne e degli uomini che ne fanno parte. Non si tratta certamente di una rivoluzione “post-cattolica”, ma semplicemente di prendere sul serio il compito di custodi del creato che ciascuno di noi ha.  Quanto poi alla solidarietà, spero si possa sempre più usare come paradigma quella solidarietà generativa che ha fatto grande il nostro Paese e non – al contrario – la solidarietà collusiva di chi vuole solo difendere il proprio interesse particolare. Sempre di solidarietà si tratta, credo però sia evidente quale di queste due accezioni sia propria della dottrina sociale cattolica.  Ciò che dovrebbe interessarci, a mio parere, non è tanto se il talento vince sull’eguaglianza, o il merito sulla solidarietà, quanto come potremo educare i nostri ragazzi a mettere a disposizione degli altri oltre che di sé i propri talenti e a non temere un impegno che faccia emergere il merito di ciascuno.
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