Si fa presto a dire «sovranismo»
venerdì 11 gennaio 2019

La delegittimazione delle élite, la crisi del liberismo e i limiti della globalizzazione hanno finito per trasformare l’Europa in un vasto terreno di caccia, consentendo a varie forme di sovranismo e di populismo di coagularsi, fronteggiarsi, diversificarsi e perfino combattersi avendo tuttavia una missione comune e apparentemente condivisa: quella di scardinare, se non abbattere, l’Europa delle aspirazioni comunitarie e il suo progetto di federalismo in nome di una nazionalismo identitario che promette una rivincita gravida di incognite e di risentimenti sulle rovine dell’Unione Europea. Una Ue sentita – purtroppo non senza ragioni – come cinica e matrigna, arcigno difensore di regole e privilegi che il "popolo", entità sostanzialmente astratta ma nel cui nome ogni sovranista-populista si intesta il diritto di agire, vorrebbe ora riformare dal basso conquistandone i piani alti. Il terreno di caccia è proprio questo, una landa senza più autentici leader, segnata da un divorzio clamoroso e aulesionista come la Brexit, percorsa da balbettanti promesse di rinnovamento e altrettanto balbettanti anatemi nei confronti dell’orda barbarica che all’approssimarsi delle elezioni di maggio appare come un flagello annunciato. Ma dove andranno a cercare il consenso i sovranisti? E davvero troveranno prede e selvaggina in abbondanza, tanto da diventare un cuneo di tale forza numerica – e quindi politica – da cambiare la faccia dell’Europa?

La mappa del tumultuoso arcipelago euroscettico, populista e sovranista è assai vasta e ciascuno, dal Rassemblement National di Marine Le Pen all’Fpö austriaco, dalla Lega di Salvini agli xenofobi olandesi di Geert Wilders, dai nazionalisti polacchi del Pis di Jaroslaw Kaczynski agli ungheresi dello Jobbik, dai sovranisti italiani del Movimento 5 Stelle fino al sempre diffidente quartetto del Gruppo di Visegrád (Polonia, Repubblica Ceca, Slovacchia, Ungheria) sta fiutando e valutando l’alleanza che meglio conviene. Un risiko così affollato di combinazioni che – non fosse per i reali pericoli che nasconde – quasi strapperebbe un sorriso, pensando, per dire, alla stramba alleanza fra la Lega e gli xenofobi di Alternative für Deutschland o i post-franchisti andalusi di Vox e gli squadristi belgi di Vlaams Belang. Ma insieme ai leghisti si muovono frenetici anche i grillini italiani. Dopo che l’offerta di soccorso ideologico ai Gilet Gialli francesi è stata cordialmente respinta al mittente, Di Maio prova a lanciare esche agli euroscettici antiglobalisti croati di Zivi Zid (letteralmente: "muro vivente"), ai finlandesi di Liike Nyt, senza trascurare i conservatori olandesi di Mark Rutte o gli estremisti polacchi di Kukiz-15.

Tutte alleanze teoricamente possibili, perché alla fine sono i voti che contano, e quelli servono a formare una nuova grande 'famiglia politica' europea che s’incunei (meglio ancora: che sorpassi) i popolari e i socialdemocratici e si aggiudichi deputati, cariche e potere al punto da riuscire cambiare la faccia dell’Unione, e anzi, come dice Salvini, a «restituire agli europei il sogno ucciso dalle burocrazie». Naturalmente turandosi il naso di fronte ad alleati – come Kaczynski e Orbán – che esaltando il possibile proliferare delle «democrazie illiberali» promettono bavagli e lacci a magistratura, giornali e diritti civili.

Possibile? Ragionevolmente, no. Non solo perché molto elevato è per tutti i sovranisti- populisti il tasso di egoismo nazionale, ma soprattutto perché proprio la natura stessa dell’esasperato identitarismo che va all’assalto della fortezza Europa finirà per generare conflitti e divisioni all’interno di quell’armata così diseguale. Una su tutte, l’Ungheria, che resterà (per puro calcolo, ovviamente) nella casa dei popolari europei quale che sia il risultato elettorale. Le intenzioni di voto per ora attribuiscono ancora una salda maggioranza alle due tradizionali famiglie, il Ppe e il Pse, pur con una significativa emorragia di consensi, mentre l’Enf (Europa delle nazioni e delle libertà), il gruppo che raduna Salvini e la Le Pen, resterebbe la quinta forza. Solo un’alleanza – molto difficile, per la verità – fra Enf, Ecr (che raccoglieva conservatori britannici e riformisti) e Efdd (5stelle e Afd tedeschi) porterebbe questo cartello a essere la seconda forza dopo i popolari al Parlamento europeo.

Proprio per questo la caccia alle alleanze è aperta. In attesa che l’Europa delle antiche democrazie reagisca, ritrovando una voce, leader credibili, un progetto, un destino condivisibile e ben condiviso. Prima che sia tardi.

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