Prendiamo sul serio l'appello dei 53
venerdì 8 maggio 2020

Caro direttore,

nel dibattito sul Servizio civile universale (Scu) riaperto da Avvenire con il lancio della proposta-appello di 53 intellettuali e accademici, vorremmo portare il contributo di chi opera da molto tempo per la concreta realizzazione dei valori e delle finalità di questa bella istituzione repubblicana. Istituzione colpita dalla pandemia con il blocco delle attività a marzo, in ripresa da poche settimane, a cui abbiamo molto contribuito (9.500 dei 23.000 giovani impegnati sono nelle 27 organizzazioni della Cnesc). Istituzione che ha di fronte il pesante impatto di medio periodo della pandemia sugli enti accreditati, soprattutto, ma non solo, del Terzo settore. Già dalle prossime settimane dovremo attrezzarci al distanziamento fisico quando l’80% degli impieghi dei volontari ha caratteristiche di diretta relazione personale. Quella missione educativa e formativa che l’Appello dei 53 chiede al Scu è la nostra ragion d’essere. Educare alla gestione nonviolenta dei conflitti è oggi essenziale. E dotare il nostro Paese di una difesa civile non è un lusso. Se fu il Piano Marshall, con i suoi dispositivi di cooperazione fra gli Stati, a fare la differenza positiva rispetto alla dura Pace di Versailles, oggi a fare la differenza, anche sulla qualità della democrazia, è la capacità di affrontare le solitudini, le emarginazioni, la povertà con cittadini dalle concrete abilità ed educati al civismo e alla solidarietà.

Ci permettiamo di indicare alcuni punti essenziali per questo obiettivo. Primo: la programmazione pluriennale dei contingenti di giovani da accogliere. La cifra dei 50mila all’anno che il ministro Spadafora ha indicato il 9 aprile scorso in dialogo con lei, direttore, è l’avvio per il 2021, ma dobbiamo arrivare, entro il 2023, a raddoppiare questo contingente. L’effetto 'contagio positivo' che ha citato Luigi Bobba tra i giovani, avverrebbe anche per l’offerta di impieghi da parte degli enti.

Già in passato gli enti hanno proposto impieghi per più di 100mila giovani. Nel giro di un paio di anni possiamo tornarci. Ma è la stabilizzazione del contingente la chiave di volta. Su questo ha ragione il ministro Spadafora. Secondo: cambieranno i profili dei giovani, finalmente: l’inserimento dei giovani stranieri residenti stabilmente in Italia, l’accoglienza di giovani italiani senza diploma sono sfide già attuali. In un Scu da 100mila giovani in servizio per un anno, i laureati saranno una minoranza. La mixité socioculturale del Servizio civile francese va costruita anche nel nostro. A maggior ragione con l’obiettivo di integrare il Scu con alcuni programmi comunitari e con altri Servizi civili nazionali (Francia, Germania, Belgio). Ma servono politiche strutturali di formazione del personale degli enti, a cominciare dalle conoscenze linguistiche.

Terzo: quali finanziamenti? Oggi ci sono due finanziatori del Scu: il bilancio statale per l’assegno e l’assicurazione ai giovani (5.500 euro per dodici mesi) e quello degli enti accreditati per i costi del personale (e la sua formazione e aggiornamento), per le sedi e le attrezzature, per le attività. Gli enti più qualificati investono per ogni persona in Scu una somma simile a quella dello Stato. Una dotazione a regime di 600 milioni all’anno da parte dello Stato (costo annuo di un contingente di 100.000 persone in Italia e 2.000 all’estero) significherebbe almeno altrettanto dal Terzo settore e dalle Amministrazioni locali. A queste risorse nazionali si potrebbero aggiungere fondi europei. Indichiamo tre direzioni. I fondi dell’European Voluntary Service possono sostenere la misura dei tre mesi in un Paese Ue per combattere gli stereotipi nazionalistici; i fondi di Garanzia Giovani, svincolati dal limite geografico di attivazione, possono sostenere l’intervento verso i Neet; gli interventi per le soft skylls (le competenze trasversali: lavoro in gruppo, capacità comunicativa, resistenza allo stress) possono essere impiegati per la valorizzazione del capitale umano generato dal Scu. Quarto: quale governance?

Innanzi tutto, c’è da mantenere la sussidiarietà che caratterizza da sempre il Scu, altrimenti come sarebbe possibile che un Dipartimento con poche decine di persone possa governare una realtà che vede 30mila giovani in servizio e migliaia di organizzazioni sul campo? La collaborazione fra Dipartimento, Terzo settore ed enti religiosi è stata una delle condizioni di questa sussidiarietà. Nell’ultimo anno, positivi passi sono stati compiuti dal Dipartimento per avere una effettiva partecipazione alla costruzione delle scelte di fondo di Regioni e Pubblica amministrazione. Questa felice congiuntura, che ha permesso un Piano triennale 2020-22 e un Piano annuale 2020 centrato su larga parte degli obiettivi dell’Agenda 2030 dell’Onu, va stabilizzata e portata nei territori, rifuggendo da centralismi e dirigismi. La maldestra riforma della Consulta nazionale del Servizio civile del 2017 non ci è di aiuto. Serve una governance in cui gli attori del sistema dialoghino con il Parlamento e il Ministro delegato in modo costante. Infine, va superata l’autoreferenzialità, per questo è importante la disponibilità degli illustri firmatari dell’Appello dei 53 a collaborare alla formazione dei giovani in Scu a fronte delle 'grandi innovazioni' che sono all’ordine del giorno.

Presidente della Consulta nazionale enti di servizio civile (Cnesc)


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