venerdì 25 novembre 2011
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Nessuna misura concreta e posizioni che restano distinte se non distanti, ma almeno un obiettivo il vertice di Strasburgo l’ha centrato: chiarire che la sola chance di salvezza per tutti e per ognuno dei Paesi dell’eurozona passa dalla ricerca di un coordinamento maggiore. 'Più Europa!': questa è stata la risposta fornita di comune accordo da Merkel, Sarkozy e Monti di fronte all’attacco della speculazione. Non abbastanza per rassicurare i mercati, ma sufficiente per far tornare tutti al tavolo della trattativa con lo spirito giusto, finalmente comprendendo che la forza dei Bund tedeschi rischia di essere un problema almeno quanto la debolezza dei Btp italiani… Sperare in qualcosa di più, oggettivamente, avrebbe significato credere nella Fata Turchina, e Mario Monti tutto può ricordare fuorché la madrina del buon Pinocchio. Due ci sembrano i successi che il premier italiano ha contribuito a centrare. Il primo, il più importante per il destino d’Europa, è stato quello di riportare la discussione nei binari della coesione europea e della ricerca di una risposta che non si esaurisse in uno scaricabarile miope e sciovinista. Ribadendo che i Paesi gravati da troppo debito (per colpa loro e per decennali sciagurate politiche clientelari, non certo «per colpa dell’euro») devono fare la loro parte per intero, ha avuto però più agio per dimostrare che tutto questo non sarà sufficiente a salvare l’euro. Accanto alle riforme strutturali necessarie a livello domestico, sono infatti altrettanto ineludibili modifiche profonde della governance politica dell’economia di Eurolandia. Probabilmente anche a causa dell’acquisita consapevolezza che neppure la Germania potrebbe non incorrere in problemi enormi con il suo debito pubblico se l’euro dovesse colare a picco (un argomento decisivo nei confronti dei suoi elettori), la cancelliera Merkel, pur mantenendo le proprie posizioni contrarie a trasformare la Bce in un «prestatore di ultima istanza» per le economie dell’euro e all’immediata emissione di Eurobond, ha di fatto rilanciato, alzando l’asticella. Ha cioè parlato della necessità di una maggiore omogeneità nelle politiche fiscali, in tal senso andando al cuore del problema 'politico' dell’euro, che non a caso si è manifestato in una crisi che è squisitamente di natura politica: la sfiducia nei confronti della capacità degli Stati di onorare il proprio debito sovrano. Si potrà dire che così si dilazionano le misure d’emergenza che la crisi impone di adottare. Può darsi che sia vero; ma la sola riforma della Bce e il semplice lancio degli Eurobond, non accompagnato da misure politiche più pesanti (come quelle ora indicate da Merkel) rischierebbe di bruciare la prima e i secondi, lasciandoci in un mare in tempesta senza timone né albero.Il secondo successo conseguito da Monti, il più importante per il destino d’Italia, è stato quello di far ritrovare all’Italia quel posto in Europa che non sempre, ma sempre nei suoi momenti più alti, l’Italia ha saputo occupare. Non lo diciamo né per consolare l’orgoglio nazionale così malamente maltrattato in questi tempi né per trasformare Mario Monti in quel SuperMario capace di proverbiali imprese in tante consolle o per santificarlo prima ancora che riesca nel 'miracolo'. E oltretutto è ancora viva in tutti noi la consapevolezza di quanta sfortuna portò al presidente Obama l’intempestiva attribuzione di un Nobel alla speranza… Il punto è un altro. La serietà con cui i partner europei guardano ora agli sforzi «impressionanti» cui gli italiani si preparano a sottoporsi per uscire dalla crisi attesta innanzitutto del mutato clima nei nostri confronti.
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