giovedì 12 marzo 2015
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«Una civiltà dove non si prega più è una civiltà dove la vecchiaia non ha più senso. E questo è terrificante, noi abbiamo bisogno prima di tutto di anziani che pregano, perché la vecchiaia ci è data per questo». La citazione è di Olivier Clément, intellettuale ortodosso francese del ’900. Contiene un’aura di profezia questa parola ricordata dal Papa ieri in Udienza. Una riflessione anticipatrice di un tempo secolarizzato e teso al profitto, in cui i vecchi avrebbero perduto dignità e valore; e di un’era di famiglie divise e figli unici, o mai nati, che apre le porte a un’altra vecchiaia, rispetto a quella dei nostri nonni.Perché, a fronte di quanti saranno rallegrati dai nipoti, in molti saranno verosimilmente nei prossimi decenni vecchi e soli, e in una proporzione, a causa dell’aumento dell’età media della vita, in cui l’umanità non lo è mai stata. (Già ora, la domenica nelle grandi città, quanti anziani, soli a passeggio con un cane, che guardano come il solo affetto rimasto).Allora accade, magari, che avanzando verso i sessanta e oltre, e a meno di avere già il dono di una grande fede, ci si cominci con inquietudine a domandare che si farà, dei lunghi anni senza più un ufficio in cui andare, né figli a casa, e magari nemmeno la salute di prima. Certo, i media ci propongono allegramente di stare a dieta, far ginnastica, fare un lifting, trovarci un hobby, distrarci: insomma, di "restare giovani". Molti di noi però intuiscono che non basterà, la maschera di una giovinezza forzata. E allora quel lungo tempo regalatoci per la prima volta nella storia degli uomini e delle donne, può sembrare un’incognita buia. Ma il Papa ieri, come con un benefico schiaffo, non ha affatto "consolato" vecchi presenti e futuri: invece ha detto che la vecchiaia è grazia, missione e anzi "vocazione". Vocazione, dunque ciò che siamo chiamati a fare per compiere il nostro umano cammino. Non un accontentarsi, un tirare i remi in barca, un rassegnarsi; ma qualcosa di importante da fare, un lavoro da compiere. Quale? Testimoniare, anzitutto: testimoniare per esempio che restare sposati tutta la vita è possibile, ha detto il Papa. Ma, anche, i nonni cresciuti durante la guerra non testimoniano ancora ai nostri figli di essere riusciti a vivere, ad avere una famiglia, e a ricostruire l’Italia, pure dopo anni atroci? Soprattutto, però, ha detto Francesco riecheggiando Clément, «abbiamo bisogno di anziani che preghino, perché la vecchiaia ci è data per questo».La vecchiaia, ci è data per questo. E ha citato Anna e Simeone, che a oltre ottant’anni vedono Gesù, bambino, al Tempio, e lo riconoscono, ed esultano («Ora lascia, Signore, che il tuo servo vada in pace secondo la tua parola, perché i miei occhi hanno visto la tua salvezza...», è il meraviglioso cantico che sortisce dall’incontro tra due santi ottuagenari e Cristo). Perché, se nelle vecchiaie solitarie e abbandonate può succedere di inasprirsi e incattivirsi, e di guardare con amarezza alla vita, quei due, gente di preghiera, avevano uno sguardo buono, lungo e acuto; così acuto da riconoscere il segno della salvezza tanto atteso, là dove gli altri vedevano solo un bambino.È un lavoro grande quello indicato dal Papa, molto di più di quel fasullo restare giovani – e, possibilmente, buoni consumatori – che ci viene abitualmente propagandato. Da vecchi, avremo molto da fare: testimoniare, ringraziare di quanto si è ricevuto; e, per tutti, per gli sconosciuti, per i ragazzi, per gli ultimi, pregare. In un mondo in cui siamo spesso distratti e affannati, e non abbiamo tempo per Dio, «qualcuno – ha detto Bergoglio, 79 anni, con la sua faccia di uomo allegro del Vangelo – deve pur cantare».
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