Se vota una persona con Alzheimer perché non può un bambino?
martedì 27 settembre 2022

Sono in fila al seggio, peraltro molto affollato. Dietro di me si avvicina una signora anziana, direi di circa ottant’anni, accompagnata dal figlio, direi cinquantenne. Il figlio la istruisce per bene su come votare e soprattutto su chi votare. La madre domanda delucidazioni una, due, tre, quattro volte ottenendo sempre le stesse semplici e precise istruzioni: fai una semplice X sulla scheda dove vedi il simbolo Y. La signora è evidentemente confusa, e anche una volta nella cabina, esce smarrita per consultarsi con il figlio che è lì sull’uscio della stanza. Il presidente acconsente tra gli sguardi di tenerezza dei presenti.

Posso dare quasi per certo che la signora non fosse nel pieno delle facoltà mentali che le avrebbero permesso di esprimere un voto personale, libero e men che meno segreto, come prescrive l’art. 48 della Costituzione. Ma la presenza del figlio le ha certamente permesso di esprimere un diritto importante, che definisce la cittadinanza. Non sappiamo se a casa madre e figlio abbiano riflettuto insieme su chi votare, oppure se il figlio le abbia dato un’indicazione amorevolmente filiale di votare Y sapendo Y essere il partito che esprime meglio le posizioni politiche della madre, o ancora se semplicemente il figlio abbia fatto votare alla madre il partito da lui preferito. Non lo sappiamo, non lo possiamo sapere e forse, tutto sommato, è irrilevante.

In un modello ideale di democrazia, il voto è esercitato da persone istruite e informate, economicamente indipendenti e psicologicamente stabili in grado di esprimere un voto che rifletta le proprie preferenze forgiate nella solitudine della propria coscienza e senza condizionamenti esterni. Ma la realtà è ben diversa. Sappiamo tutti che molte persone si limitano a votare con la pancia, seguendo suggestioni e basandosi su informazioni limitatissime. Esistono inoltre un numero considerevole di persone con deficit cognitivi importanti: basti pensare che in Italia il numero totale dei pazienti con demenza è stimato in oltre 1,2 milioni di persone e di queste solo pochissime sono interdette. Nessuno si sogna di negare loro il diritto al voto. Certamente non io, che anzi difendo il diritto della signora anziana con probabili limiti cognitivi tali da farsi dire per chi votare dal figlio. Anzi, direi che è quasi una inutile forzatura costringerla a recarsi al seggio per farlo e non permetterle invece di fare tutto più comodamente via posta, come peraltro già consentiamo di fare ai residenti all’estero. Lasciamo quindi perdere la finzione del voto libero e personale, espressione razionale delle proprie preferenze espresso nella solitudine della propria coscienza. Anche nel migliore degli scenari le preferenze politiche di ciascuno vengono forgiate in un contesto relazionale, spesso familiare, dove le opinioni e le idee di chi ci sta vicino contano, ed in ogni caso contribuiscono a creare la preferenza. Quasi tutti noi sappiamo per cosa votano i nostri familiari, come nel caso della signora di questa mattina che ha potuto farsi aiutare nell’esercitare un suo diritto di cittadinanza. Sì, perché il diritto di voto riguarda la sfera della cittadinanza (esprimo un voto in quanto sono cittadino) e non quella dell’autonomia e della libertà.

Ma se un cittadino maggiorenne può esprimere il voto senza essere minimamente informato; se un adulto può esprimere il proprio voto anche sotto l’influenza di sostanze psicotrope; se un elettore può votare in una situazione di forte stress emotivo o economico; se una persona anziana può votare anche se affetta da Alzheimer in stato avanzato, perché neghiamo ai cittadini con meno di diciott’anni di votare? Se tutti i maggiorenni hanno il diritto di voto in quanto cittadini, indipendentemente dalla reale capacità di esprimere quell’ideale voto personale, libero e segreto, perché neghiamo questo stesso diritto ai minorenni? E attenzione, non parlo solo dei tredicenni che già sono curiosi del mondo e capaci di informarsi e discutere con coetanei ed adulti della cosa pubblica e del futuro come certo la signora di questa mattina non è più in grado di fare. Parlo anche di tutti i cittadini più piccoli che comunque hanno un interesse enorme, forse ancora maggiore degli anziani, nelle decisioni politiche. Perché nascituri e bambini non dovrebbero esercitare quello stesso diritto attraverso i loro genitori che sono già deputati a difendere e promuovere i loro progressi?

Il voto ai bambini esercitato per procura dai loro genitori – anche conosciuto come voto di Demeny – è una proposta seria di cui si discute in alcuni Paesi a forte denatalità come Germania e Giappone. Gli economisti che lo promuovono – tra i quali l’italiano Luigi Campiglio – lo sostengono perché renderebbe più appetibile elettoralmente la promozione di politiche che favoriscono i giovani e le famiglie e gli investimenti di lungo periodo in un Paese in cui la spesa pubblica è disproporzionalmente catturata dalle fasce anziane della popolazione. Ci sono quindi delle ottime ragioni economiche per sostenere il Demeny voting, ma prima di tutto sussiste l’imperativo morale di riconoscere davvero l’universalità del suffragio a tutti i cittadini di un Paese, a cominciare da quelli più giovani e quindi vulnerabili, i cui interessi politici non sono mai stati adeguatamene riconosciuti.

Economista Università Lumsa

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