Se tornano le libere domande è la propaganda a perdere peso
martedì 13 aprile 2021

Tornano le domande e tornano i giornalisti, incaricati di porle. Si era detto che l’era Draghi non esautora la politica, ma sfida semmai i leader ad abbandonare i toni da propaganda, muniti di megafono e senza contraddittorio.

Così dopo una fase di rodaggio in cui ci si è lamentati per la noncomunicazione del governo, si è entrati a regime con un modello in cui le conferenze stampa a Palazzo Chigi, diventano l’occasione per un 'tagliando', a viso aperto e senza infingimenti, sulle questioni più spinose, a beneficio della collettività. Venivamo da un quinquennio in cui la comunicazione governativa si è dispiegata essenzialmente attraverso slide (le schede informative) ed e-news (notizie digitali), dirette Facebok e tweet, tecniche diverse, intervallate da rare conferenze stampa, ma tutte accomunate da un obiettivo a volte sottinteso a volte esplicito: togliere di mezzo l’intermediazione giornalistica che – si sostiene – manipolerebbe, a volte sino alla censura e spesso alla strumentalizzazione.

I fatti dimostrano invece che una seria interlocuzione a 360 gradi, formula usata per le conferenze stampa di fine anno, consente di toccare i temi più importanti, regalando fior di notizie in un momento in cui c’è grande sete di informazione. Il cambio di passo era già emerso alla prima conferenza del capo del governo. Aveva colpito l’uso da parte sua di una parola impopolare come «condono» – in luogo dell’eufemistica 'pace fiscale' – sia pur con la giustificazione, circa l’ambito molto contenuto di un provvedimento ritenuto, in queste dimensioni, male minore. Non è che siano già mancati per il giovane governo guidato dall’ex presidente della Bce motivi di critica anche serrata, ma per toccare le dolenti note c’è bisogno di qualcuno che le tiri fuori. Superando la discrezionalità nella scelta dei temi tipica della propaganda, che tende a trascurare e a far dimenticare quelli ritenuti più scomodi.

È accaduto invece che nell’ultima conferenza stampa, venerdì (in cui non erano mancate notizie, da Alitalia alla «stima» per il ministro Speranza, oltre al «Con che coscienza?» contro i 'salta-file' delle vaccinazioni) la domanda numero 16, posta come ultima da Alfonso Raimo dell’agenzia Dire, abbia scoperchiato due questioni di estremo interesse di politica estera, delicate e collegate, che altrimenti sarebbero rimaste nel limbo. Sulla questione libica Draghi ha così avuto occasione, dimostrando consapevolezza della consistenza delle critiche subite, di precisare che i diritti umani non sono rimasti fuori dalla sua interlocuzione con il capo del governo di Tripoli Dbeibah, e ha rimarcato la posizione italiana favorevole al superamento dei campi di internamento dei migranti, come auspicato dall’Onu. È quest’ultima domanda ad aver originato il caso politico-diplomatico con la Turchia, per aver Draghi definito Erdogan un «dittatore » (chiosando il temine con un «chiamiamoli per quello che sono» dal valore rafforzativo). Una scelta netta ed esplicita.


Draghi intende utilizzare questo suo nuovo ruolo da premier anche per spalleggiare con tutta la sua autorevolezza l’Unione Europea, usando la massima solidarietà alla presidente della Commissione Ue. E non ci sono dubbi su come si sarebbe comportato il nostro presidente del Consiglio dei ministri, se si fosse trovato al posto del presidente del Consiglio europeo Charles Michel, davanti allo sgarbo del 'sultano' riservato a Ursula von der Leyen. Durante la lunga crisi che ha portato alla nascita di questo governo di emergenza nazionale si era assistito a una degenerazione ulteriore, quella di usare giornalisti considerati 'amici' per propalare veleni attraverso interviste o retroscena più o meno autorizzati. Qui invece, come si vede, non vengono scelte né le testate né i giornalisti ne i temi, in un gioco a viso aperto in cui ognuno torna a fare il suo mestiere. Perché come si dice, «domandare è lecito, rispondere è cortesia». Ma quando si occupano posti di responsabilità, specie in una fase come questa, diventa anche un dovere.

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