Se l'università Usa non garantisce più un futuro dorato
mercoledì 24 gennaio 2024

L’università non è solo la biologia, la letteratura, la matematica, il marketing. Non è nemmeno solo la laurea. È anche scambio di idee, una spinta a abbandonare i pregiudizi, organizzazione pratica e mentale, un osservatorio protetto sul mondo del lavoro, un trampolino verso una carriera ben remunerata, anche amici per la vita. Tanti vantaggi, tanti privilegi.

La loro somma ammonta a 320mila dollari? No? Allora 200mila? Perché è questo il costo di quattro anni in un college privato negli Stati Uniti.

L’ateneo pubblico del proprio Stato è meno prestigioso, ma in confronto un affarone: circa 120mila dollari, 30mila per un solo anno. Queste cifre sono decuplicate in mezzo secolo, e non sembrano conoscere limiti: solo negli ultimi dieci anni sono aumentate di un altro quarto. Finora i giovani americani e le loro famiglie hanno inghiottito la pillola amara e risposto di sì.

Per comprare il biglietto d’ingresso alla classe media si sono accollati debiti colossali (la media è di 38mila dollari per studente) che hanno poi laboriosamente ripagato per trent’anni, salvo nei casi in cui sono finiti in bancarotta. A partire dal secondo dopoguerra, è andata avanti così per generazioni. Ora qualcosa si è rotto.

La Gallup, fedele fotografa degli umori degli americani, parla di una perdita di fiducia nel sistema di istruzione superiore Usa, mostrando che la percentuale di cittadini che credono nel valore di quattro anni di università è crollata dal 57% al 36% negli ultimi dieci anni.

Forse, suggerisce il “Wall Street Journal”, anche a causa dell'intolleranza politica che dilaga nei campus. Se si fruga un po’ nei dati, però, si scopre facilmente chi sono i quasi due terzi di americani che dicono “no grazie” a un quadriennio in un ateneo per i loro figli. Sono in maggioranza non laureati e guadagnano meno di 50mila dollari l’anno.

Resta allora da chiedersi per quanti si tratta di una scelta di valore, con un’implicita condanna del tipo d’insegnamento impartito oggi, e per quanti di un calcolo molto pragmatico di costi e benefici. Dove fra i costi non ci sono solo quelli finanziari. Bisogna anche mettere in conto quattro anni (cinque per due terzi degli studenti, costretti a fare i camerieri mentre studiano) lontani da un mercato del lavoro che cambia alla velocità della luce.

Anni in cui è impensabile farsi una famiglia o cominciare a risparmiare per comprare una casa. Intanto nella lista dei benefici qualcosa sta scomparendo. Prima della crisi del 2008, della pandemia e del boom dell’intelligenza artificiale, una laurea garantiva un impiego con salari di partenza doppi rispetto ai coetanei senza l’ambito pezzo di carta. Questa differenza si è ridotta. Per molti oggi il primo impiego post-tesi comporta uno stipendio annuale inferiore al debito studentesco, sempre più spesso senza assicurazione sanitaria.

La promessa di un lavoro regge (solo il 4,4% dei laureati è disoccupato) ma uno stile di vita medio o medio-alto è tutt’altro che garantito. Il contratto fra università e famiglie che era rimasto valido per tante generazioni di americani si è dunque trasformato in una scommessa molto cara che sempre meno genitori delle classi media e lavoratrice sono disposti a fare per i loro figli. Il resto è privilegio.

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