sabato 20 febbraio 2021
Il nuovo esecutivo ridisegna non solo il perimetro di quest’area ma gli orizzonti e gli orientamenti. Fuori stanno sovranismo, populismo e simpatie per regimi autoritari
Se l'Ital-politica torna a farsi istituzionalmente al «centro»

Solinas

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Nella vicenda politica come in ogni altro campo si danno eventi che non cambiano nulla, eventi che modificano lo stato delle cose ed eventi che modificano non solo lo stato delle cose, ma anche le regole. Il governo Draghi ha molte delle caratteristiche necessarie per appartenere a quest’ultimo gruppo di eventi. Nessuno può sapere se alla fine questo effettivamente avverrà, ma non è difficile cogliere indizi importanti di questa possibilità. In particolare, uno di questi indizi è sotto gli occhi di tutti. Il largo, ma tutt’altro che universale spettro delle provenienze politiche dei ministri seduti attorno a Draghi in Senato, insieme alle parole con cui il presidente del Consiglio ha chiesto la fiducia, convergono in una medesima direzione. Il governo Draghi può non solo definire, ma anche re-istituzionalizzare il 'centro' politico.

In democrazia, il vero centro politico non è quello che custodisce rendite di posizione o, come si è fatto credere, piccoli gruppi di parlamentari disponibili alle più diverse maggioranze. In democrazia il 'centro' è lo spazio che contiene le opzioni decisive allo stesso tempo alternative e compatibili: opzioni alternative perché la democrazia è competizione, opzioni compatibili perché non compromettono il quadro democratico. La ridefinizione e ancor più la re-istituzionalizzazione del 'centro' politico è ciò di cui la democrazia italiana ha bisogno sin dal passaggio tra gli anni 80 e gli anni 90 del Novecento, senza contare che, mentre a noi non riusciva di ridare consistenza al 'centro' politico, lo stesso problema si andava ponendo in termini drammatici per tutte le maggiori democrazie (e a volte in modi ancora più aspri e pericolosi di quanto non sia avvenuto da noi).

Il 'centro' politico è il luogo in cui si decide la competizione politica democratica. Nascendo, il governo Draghi ha cominciato a ridisegnare i confini di quel campo di gioco e a riconsolidarne il terreno. Il processo che ha portato alla formazione del governo Draghi e in modo ancor più esplicito le parole pronunciate in Parlamento dal nuovo presidente del Consiglio indicano con chiarezza la posizione e i limiti del 'centro' politico della nostra democrazia, ovvero della dimensione politica della nostra vita repubblicana.

L’orizzonte del 'centro' politico è costituito dalla Unione Europea e dalla Alleanza Atlantica. La menzione dell’Onu chiarisce il criterio interpretativo di questo orizzonte: nessuna timidezza nel difendere e dar forza ai valori e alle norme delle 'società aperte' – delle 'poliarchie' ebbe a dire Draghi una volta citando la Caritas in veritate –, più tenacia e realismo nel tentativo di allargare una trama di multilateralismi sempre più coerente con le libertà democratiche, il mercato regolato, la libertà religiosa, la salute come diritto, la responsabile libertà della scienza da altri poteri, e via di seguito. «Questo governo nasce nel solco dell’appartenenza del nostro Paese, come socio fondatore, all’Unione Europea, e come protagonista dell’Alleanza Atlantica, nel solco delle grandi democrazie occidentali, a difesa dei loro irrinunciabili princìpi e valori. Sostenere questo governo significa condividere l’irreversibilità della scelta dell’euro, significa condividere la prospettiva di un’Unione Europea sempre più integrata che approderà a un bilancio pubblico comune capace di sostenere i Paesi nei periodi di recessione». Questo 'centro', dunque, non ha solo un orizzonte, ma anche un orientamento: quello di una precisa opzione circa la direzione, 'federalista', lungo la quale la Ue dovrebbe evolvere.ù

L'agenda Draghi riflette questo 'centrismo' nell’insieme e nel dettaglio. Nell’insieme: lotta alla pandemia, scuola, ripresa della crescita economica, responsabilità verso l’ambiente (gli ambienti, a ben guardare), riattivazione della mobilità sociale, parità di genere, riforma del fisco, della PA e della giustizia civile; in una parola: coerente e trasparente impiego delle risorse straordinarie di cui possiamo avvalerci in ragione della nostra partecipazione alla Ue e del suo evolvere in una direzione sempre più affine alla intuizione originaria di De Gasperi, Schuman e Adenauer. Nel dettaglio (sufficiente un solo chiarissimo esempio): «Il governo dovrà proteggere i lavoratori, tutti i lavoratori, ma sarebbe un errore proteggere indifferentemente tutte le attività economiche», che, tradotto, significa: difendere i lavora- tori (tutti: dipendenti ed autonomi, attualmente occupati e no) e non necessariamente tutti i 'posti di lavoro' (anche quelli di aziende senza futuro).

Se l'operazione Draghi avrà successo, la competizione politica tornerà a svolgersi dentro il perimetro di questo 'centro' e così tornerà a garantire quei vantaggi che solo la competizione assicura, in politica come in ogni altra vicenda sociale. I confini del 'centro' sono stati tracciati con chiarezza: fuori sovranismo e populismo (di qualsiasi colore), fuori ogni più piccola indulgenza verso regimi autoritari, dentro Repubblica ('poliarchia') e democrazia. Il fatto che nella operazione di reistituzionalizzazione del 'centro' siano coinvolte anche parti importanti ed estese delle alleanze di centrodestra e centrosinistra non è affatto un brutto segno (come non lo è che non tutta la destra né tutta la sinistra siano dentro). Al contrario, l’ampiezza (non indistinta) della partecipazione al governo è una delle condizioni decisive per il successo dell’operazione: ovvero l’ordinario svolgersi della competizione e della alternanza democratica entro i confini di questo 'centro'.

Un’ultima nota. Senza proiettare alcuna ipoteca sul suo protagonista, l’operazione-Draghi costituisce l’occasione per una profonda riflessione del cattolicesimo italiano quanto ai suoi modi di esercitare – o di trascurare o di barattare – la propria responsabilità politica. Il punto non sono le forme, esse dipendono dal momento storico e possono essere giudicate solo sulla base dei risultati che assicurano. Il punto è un altro. Di fatto, il cattolicesimo politico italiano ha dato il meglio di sé e il meglio per la Repubblica e la democrazia non quando ha occupato o cercato di sfruttare il centro e le sue rendite di posizione, ma quando ha cercato di conquistare democraticamente il 'centro', di esprimerlo e di interpretarlo. Ciò è avvenuto nei modi più diversi: in quelli della stagione degasperiana come in quelli dell’impegno per le riforme istituzionali. Se avverrà di nuovo, è molto probabile che avvenga in forme ancora una volta diverse. Tuttavia la domanda che si impone per prima non è come avverrà, ma se avverrà.

Avverrà? Impossibile rispondere, ma anche impossibile negare che il programma di re-istituzionalizzazione del 'centro' interpretato dal governo Draghi costituisce per i cattolici italiani una oggettiva e salutare provocazione all’esercizio della responsabilità politica.

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