Se «congruo» è l'interesse della maggioranza e non il lavoro
giovedì 22 dicembre 2022

Un emendamento che, per ora, cambia poco o nulla all’atto pratico. Ma che conferma, purtroppo, quali idee coltivi l’attuale maggioranza della povertà e del lavoro. La variazione alla manovra, approvata l’altra notte su proposta di “Noi moderati”, cancella infatti la parola «congrua» dall’offerta di lavoro che un percettore del Reddito di cittadinanza è tenuto ad accettare, pena la perdita del beneficio. Già il governo Draghi aveva ridotto dalla terza alla seconda l’offerta che “non si può rifiutare” e il nuovo esecutivo, nella bozza della legge di Bilancio l’aveva ulteriormente limitata a una sola. Legittimo e probabilmente anche giusto purché, però, sia “congrua“ appunto. Cioè che rispetti alcuni criteri minimi di coerenza con «esperienze e competenze maturate», distanza rispetto alla residenza (la norma più recente prevedeva non oltre 80 chilometri per la prima offerta, in tutta Italia nella seconda e ultima) e durata del contratto, se a termine o in somministrazione per non meno di 6 mesi e, ovviamente, una retribuzione non inferiore a quanto previsto dai contratti nazionali di settore. L’emendamento votato mirava a cancellare queste condizionalità ma in realtà, per come è stato scritto, elimina solo la parola “congrua” e non modificando quanto previsto dall’articolo 4 del dl 4/2019 non cambia nulla per il momento, secondo quanto nota il giuslavorista Michele Tiraboschi.

Insomma, una proposta infilata nella manovra in fretta e furia alla Camera, senza effetto pratico ma che punta un’ennesima banderilla politica per matar il Reddito di cittadinanza e con esso però più di 800mila poveri “occupabili”. Gli stessi ai quali la prima stesura della legge di bilancio limitava a 8 mesi il beneficio e gli ultimi emendamenti hanno ulteriormente ridotto a 7 per poter risparmiare qualche altro milione di euro, dirottato a finanziare le promesse elettorali: riduzione delle imposte agli autonomi, cancellazione delle cartelle esattoriali e aumento delle pensioni minime. Guerra (anche) tra poveri. E pazienza per i poveri disoccupati! Ennesima dimostrazione, come più volte notato su questo giornale, di una concezione della povertà come colpa. Che quindi i poveri devono scontare. A cominciare dai 140mila giovani sotto i 30 anni senza diploma che saranno obbligati a tornare sui banchi per completare il “diritto- dovere all’istruzione”. Pena, sempre, la decadenza dall’assegno di cittadinanza.

Lo stesso governo è dovuto correre ai ripari dopo il voto dell’emendamento annunciando – attraverso la ministra del Lavoro Elvira Calderone – un «decreto per gennaio per mettere i puntini sulle i...» relativamente alla questione. E per assicurare che «l’offerta di lavoro dovrà avere comunque caratteristiche di accettabilità». Condizionalità che ovviamente possono sempre essere riformate, nel rispetto però di alcuni criteri minimi di garanzia per i disoccupati e, possibilmente, di un confronto su di essi come richiederebbe qualsiasi riforma non improvvisata e meramente punitiva.

Ma se la modifica non ha effetti pratici immediati, se comunque a gennaio è previsto un nuovo decreto sulle politiche attive del lavoro che tratterà la questione, se si è promessa una riforma complessiva del Rdc che bisogno c’era di infilare in manovra, col favore delle tenebre, la cancellazione della parola “congrua”? Banalmente per mandare un messaggio a una parte dell’elettorato di destracentro, quello rimasto deluso e a bocca asciutta per la retromarcia sulle norme relative al limite del pagamento tramite Pos e allo scudo penale agli evasori fiscali. Per ribadire che per i percettori del Reddito di cittadinanza la (presunta) pacchia del divano è finita, mentre può ricominciare quella delle offerte di diversi negozi, bar e ristoranti per lavori da 10 ore al giorno pagati 400 euro al mese, festivi compresi. Offerte che non passavano dai Centri per l’impiego perché irregolari ma che, un domani, potrebbero non aver bisogno di dimostrare d’essere “congrue”. La visione della maggioranza, infatti, è quella che un disoccupato dovrebbe accettare qualsiasi impiego, in qualsiasi parte del Paese e soprattutto a qualsiasi condizione, altrimenti è solo un fannullone che – a prescindere da qualsiasi difficoltà personale o di contesto, di deficit di competenze o di altra natura – non deve essere sussidiato dallo Stato. Creando così un enorme “esercito di riserva” a buon mercato per tutti gli imprenditori, compresi quelli con meno scrupoli, che avrebbero il potere di imporre le proprie condizioni ai beneficiari del Reddito di cittadinanza, senza altri mezzi e perciò facilmente “ricattabili”. Senza neppure la tutela di un salario minimo, che il governo ha deciso di non adottare. Non coperti dalla contrattazione nazionale, come già avviene oggi per 3,5 milioni di lavoratori, il 15% circa degli occupati. Con l’effetto di far calare anche tutti gli altri salari e il livello generale dei diritti. Il messaggio della manovra e i relativi destinatari così risultano chiari: la maggioranza ha scelto quali poteri e interessi rappresentare e difendere in via prioritaria. E i poveri non sono certo al primo posto.

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