giovedì 22 maggio 2014
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In alcuni comuni italiani la mensa scola­stica costa molto, in altri molto poco. In alcuni comuni sono previsti sconti per i pa­sti del secondo o del terzo figlio, in altri no. In alcuni comuni le tariffe sono scontate so­lo per i poveri, in altri seguono le dichiara­zioni Isee dividendo le famiglie in più e più fasce. In alcuni comuni i bambini le cui fa­miglie non pagano la retta ricevono co­munque il pasto, in altri no. In alcune scuo­le le famiglie che lo chiedono possono far portare ai figli il pasto da casa, in altre no. In alcune scuole le famiglie possono ritirare i bambini e farli pranzare a casa, in altre no.  Entrare nel mondo delle mense scolastiche è come avventurarsi in una giungla: città che vai, regola (e tariffa) che trovi. I criteri e le aliquote della Tasi o dell’Imu, al confron­to, sembrano il grigio e monotono risulta­to di una pianificazione centrale. Ma al qua­dro variopinto e poco equo delle mense scolastiche italiane mancava un’ultima pennellata: quella del pasto differenziato a seconda di quanto si paga. A colmare la la­cuna ci ha pensato il comune di Pomezia, guidato da un sindaco a 5 Stelle: il pasto co­sta 4 euro, ma chi paga 4,40 ha diritto alla merendina. Due tariffe, due menù. Le cri­tiche, a tre giorni dalle elezioni, non pote­vano che detonare ed elevarsi al livello di scontro politico nazionale.  L’iniziativa, in realtà, ha semplicemente se­guito il criterio della libertà di scelta: si può decidere se portare la merendina da casa, pagare per avere quella della mensa, op­pure non far mangiare dolci a scuola ai fi­gli. Non fa una piega. Ma c’è da riflettere. Ad esempio su quanto sia possibile assicurare ai bambini un contesto di uguaglianza quando spesso sono proprio le famiglie, dai gadget alle scelte alimentari, a voler marcare le differenze. E dunque se sia giusto che an­che la scuola debba offrire essa stessa oc­casioni per tracciare ulteriori confini. Sa­rebbe meglio di no. Come sarebbe utile che ogni forza politica verificasse come si com­portano i propri sindaci prima di puntare il dito sulla mensa altrui. Tutto ci ricorda co­me sia difficile far accettare l’idea che una comunità possa anche farsi carico del pa­sto dei suoi bambini. Cessando di conside­rarli sempre una voce di costo, e di azzuf­farsi per questo alle loro spalle.
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