Scuola e denatalità la risposta non si dà con gli avanzi di cassa
mercoledì 18 maggio 2022

Gentile direttore,
nel dibattito italiano il tema della denatalità ha l’andamento di un fiume carsico. Tenuto sottotraccia nel quotidiano, riemerge puntualmente nelle forme più irruente, con parole d’allarme via via più forti. Perdere una regione come il Veneto e 2 milioni di giovani entro il 2050 non può essere un dato che spinge all’uso dei toni moderati. Ma ciò che può disturbare perfino oltre, è la consapevolezza che spesso, chi ha la responsabilità di decidere, associa queste profezie di sventura a scelte di tipo opposto, di breve periodo, per niente turbate dal disastro in corso.

Uno dei settori nei quali il re è nudo è la scuola. Chi se ne occupa responsabilmente, sa benissimo dove ci sta portando la denatalità. Da qui a breve, i problemi relativi al dimensionamento scolastico, alle cattedre disponibili, alle scuole nelle piccole isole e nei piccoli borghi, alla tenuta complessiva del sistema, saranno enormi.

Eppure, quando viene fatto notare questo stato di cose, sia in sede parlamentare sia in ambiti non strettamente istituzionali, la risposta di chi ha responsabilità decisionali è sempre la stessa: risorse aggiuntive non ce ne sono; da qui a molti anni a venire, tutto ciò che verrà reinvestito nella scuola sarà tutto ciò che la scuola stessa restituirà a causa della denatalità e del conseguente calo della popolazione studentesca. Recovery Plan a parte, questo è il sentiero tracciato. Qualche esempio per chiarire. Già oggi sappiamo che le culle vuote significano un taglio degli organici di circa 9.600 posti tra il 2024 e il 2030: un 'risparmio' di risorse che il governo vorrebbe investire in formazione.

Sia chiaro, la formazione del personale è fondamentale, ma per sostenerla occorrono risorse aggiuntive e non provenienti da tagli. Così come per tutte le altre grandi criticità: le cosiddette 'classi pollaio', le reggenze, la riduzione dei servizi scolastici di prossimità, la povertà educativa, la dispersione scolastica, l’enorme fatica di trovare docenti per gli istituti delle piccole isole o dei Comuni montani, le carenze riguardanti il sostegno e il relativo personale docente specializzato. La retorica sulla denatalità e la conseguente dichiarazione di resa è tutta qui.

Si pensa in termini di 'economie', di numeri, dimenticando totalmente l’assunto che l’istituzione scuola non è una partita doppia e non è nemmeno un fatto di pura disponibilità di risorse: basti pensare al 'piano asili' del Recovery Plan e ai 400 milioni di euro rimasti, alla scadenza dello scorso 31 marzo, senza richiesta. Il più ambizioso piano della nostra storia non è riuscito ad avere pretendenti per tutti i fondi disponibili. Troppe le incognite sulla futura gestione ordinaria delle strutture da parte dei Comuni. E ciò è avvenuto specialmente al Sud, dove paradossalmente gli asili nido e le scuole per l’infanzia mancano di più.

La denatalità accettata come destino è in uno strabismo tecnico che è parte e concausa del problema. Se da qui alle prossime generazioni si pensa di usare il tesoretto derivante dal calo degli studenti per far fronte alle necessità ordinarie ed extra ordinarie della scuola, la sconfitta è certa. È impossibile crescere senza una visione complessiva delle sfide che aspettano le nostre ragazze e i nostri ragazzi, senza investimenti che siano commisurati al mondo che devono affrontare, senza dare ai loro genitori un welfare che permetta di conciliare lavoro e maternità o paternità. La scuola non si fa con gli avanzi di cassa. È urgente capirlo.

Dirigente scolastica, deputata M5s e presidente Commissione Cultura Scienza e Istruzione

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