sabato 24 giugno 2017
Prima l'addio di Consodata, poi Esso, Sky e tante altre imprese che programmano di trasferire la sede al Nord. Solo casi isolati o un effetto dei problemi della città?
(Ansa foto d'archivio)

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L’inefficienza della burocrazia, le infrastrutture fatiscenti, l’inferno del traffico e la spazzatura per strada. Ci sono difetti cronici di Roma diventati ormai luoghi comuni, al pari della Grande (e trascurata) bellezza dei suoi straordinari luoghi storici. Tra i simboli della romanità non figurava però più l’arretratezza economica. Fino all'esplodere della grande crisi, la capitale italiana ha mantenuto infatti tassi di crescita superiori alla media nazionale e – grazie anche a una spesa pubblica a dir poco generosa – ha recuperato terreno e raggiunto un reddito medio vicino a quello delle aree più avanzate del Paese. Nelle ultime settimane tuttavia l’annuncio che diverse grandi imprese hanno deciso (o stanno pensando) di trasferirsi armi e bagagli verso il nord ha fatto scattare una nuova allerta. È l’inizio di un fuggifuggi? Il degrado, i disservizi e l’assenza di progetti di rinascita stanno spingendo via le attività economiche più organizzate? E quanto incide la tassazione record che grava sulle famiglie e sulle attività produttive, conseguenza diretta dei conti pubblici in storico dissesto?

2017, FUGA DALLA CAPITALE

L'ultima a finire sulle cronache è Consodata (ex Pagine Gialle), azienda di business information che ha annunciato di voler chiudere la sede di Roma (80 dipendenti). Prima c’era stata la Esso, in partenza verso Genova. E ancor prima Sky, che lascerà nella capitale solo un piccolo presidio trasferendo circa duecento persone a Milano, dove la tv satellitare ha già il suo quartier generale. Un destino analogo pare attendere Mediaset: la redazione del Tg5 era data già in partenza, poi il clamore suscitato dalla vertenza ha spinto a mettere il piano in stand by, per ora. Tra i sindacati gira l’indiscrezione che anche l’Eni punti ad alleggerire la sua presenza romana, ma l’azienda smentisce. Casi isolati o indizi di un malessere che messi in fila diventano una prova? La cronaca dell’esodo coinvolge anche il settore farmaceutico, che ha tra la zona dell’Eur e a Pomezia il suo distretto produttivo, dove sarebbero a rischio 500-600 posti di lavoro. Nei mesi scorsi già due marchi del settore Mylan e Baxalta hanno trasferito personale al nord. Segnali di una capitale ostica per gli insediamenti produttivi e direzionali, reduce dalla grave crisi dei call center di Almaviva, un mega licenziamento da 1.600 lavoratori, e che sta affrontando l’ennesimo precipizio di Alitalia, con il futuro dei 12 mila dipendenti (più l’indotto) appeso a un filo. Tra delocalizzazioni e crisi aziendali vere e proprie, nel mondo economico il campanello d’allarme suona a ripetizione.

UN LENTO DECLINO

Negli anni precedenti la recessione l’economia a Roma tirava: tra il 2000 e il 2007 il valore aggiunto nell’area della capitale è cresciuto del 15% a fronte di una media nazionale dell’8,5%. Poi la frenata: tra il 2008 e il 2015, il valore è diminuito del 9% a fronte di una contrazione media italiana del 7,3%. Ma è soprattutto a partire dal 2011 che la crisi ha colpito Roma, impattando sui suoi pilastri portanti: spesa pubblica, domanda interna e immobiliarecostruzioni. Il Pil pro capite del Lazio è sceso in quattro anni di 2.600 euro, la flessione più accentuata tra le regioni italiane. E nel solo 2015 (dato più aggiornato) il prodotto lordo regionale è diminuito dello 0,1% a fronte del +0,7% italiano. Gli occupati invece sono saliti (+11,8% nell’ultimo decennio) così come il numero delle imprese (+15,5%), ma è calata la loro dimensione media e dal 2011 le società per azioni, le più grandi, sono il 13% in meno.

LA CITTÀ DEI LAVORETTI

La sensazione è che la crescita del numero di imprese non corrisponda a un percorso di vera rinascita economica, ma stia generando una crescita imprenditoriale e occupazionale a basso valore, con un impatto negativo sulla qualità del lavoro e sulla sua capacità di produrre reddito», ha osservato nei giorni scorsi il presidente della Camera di Commercio, Lorenzo Tagliavanti. L’analisi è severa: «Roma sembra diventare sempre più una città dei lavoretti, un sistema produttivo sempre più polverizzato dove la dimensione media delle imprese è sempre più piccola», tanto che, «molte grandi aziende si stanno riposizionando». In sostanza: più ristoranti e servizi, meno aziende grandi e innovative. «È sempre più difficile rimanere qui», aggiunge a sua volta il presidente di Unindustria Filippo Tortorello, citando il caos nei trasporti, l’arretratezza infrastrutturale e il degrado come concause dei trasferimenti aziendali da una capitale che «non ha più appeal, non è attrattiva» e dove è difficile interloquire con l’amministrazione. «Comune di Milano e Regione Lombardia non sono dello stesso colore politico ma collaborano», rimarca il segretario provinciale della Cisl Paolo Terrinoni, e con una gestione plurale dell’Expo hanno contribuito al rilancio della capitale del Nord: «Milano oggi è «L'infrastrutturata, cablata, digitalizzata e produce il doppio delle start up rispetto a Roma (800 contro meno di 400 nel 2016). Qui la crisi non nasce oggi ma mancano iniziative per contrastarla e l’attuale amministrazione non ha colto l’occasione delle Olimpiadi». A un anno dalla nascita della nuova giunta comunale i sindacati hanno deciso di incalzare la politica chiamando oggi il sindaco Virginia Raggi e il presidente della Regione Nicola Zingaretti e il governo a un confronto pubblico. Un’iniziativa, chiamata «Ricominciamo», che che punta a un patto tra parti sociali ed enti pubblici per il rilancio della capitale.

LA CHIAMATA DEI SINDACATI

Secondo le confederazioni, le istituzioni non fanno squadra, si muovono in ordine sparso quando non in palese contrasto. Sulla collaborazione istituzionale tra Comune e Regione prevale la battaglia politica Cinquestelle-Pd mentre i governi nazionali negli ultimi anni sono intervenuti solo per evitare il tracollo dei conti e presidiare i grandi eventi. Forse non basta se, intanto, nella classifica di «Italia Oggi» e dell’Università La Sapienza sulla qualità della vita, Roma è scivolata sempre più giù, passando in due anni dal 57esimo all’88esimo tra le province italiane. L’ultima indagine del Sole 24Ore vede invece la capitale in risalita dal 16esimo al 13esimo posto, sorretta dall’offerta culturale, dal turismo e dai depositi bancari. Ma anche in questo caso gli indicatori sulla vitalità economica non sono positivi: la capitale è 29esima per innovazione, 32esima per affari e lavoro e agli ultimi posti in Italia per export sul Pil (91), stato ambientale (92), sicurezza e giustizia (109). Il timore è che la spirale perversa tra i servizi pubblici da terzo mondo, l’alta tassazione e l’assenza di regia politica, possa rendere strutturale il declino di Roma. E ridurre una città metropolitana di 4 milioni di abitanti a un’enorme e caotica periferia urbana. Una capitale al traino, luogo di solo consumo o quasi, sempre più esposta al riciclaggio criminale, con al centro l'isola felice' del turismo e delle istituzioni. Sfondo perfetto per film, serie tv e titoli di giornale. Molto meno per le sfide del nuovo millennio di un Paese avanzato.

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