sabato 20 ottobre 2012
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È ormai evidente che logiche dominanti in Europa influenzano potentemente l’Ita­lia e che ormai anche nel nostro Paese si fa­tica a conoscere e riconoscere una realtà che è ricchezza e fonte di ricchezza per tutti: l’e­conomia sociale e civile. Su di essa non in­combe soltanto il grave (ben 7 punti) au­mento dell’Iva per le cooperative sociali (la principale innovazione economico-sociale i­taliana, e probabilmente continentale, degli ultimi vent’anni). C’è anche la recente ap­provazione della 'borsa delle scommesse' e l’imminente legalizzazione delle slot machi­ne online, che rappresentano un segnale an­cora più grave, poiché proprio queste nor­mative radicalmente 'incivili' finiscono per ingrossare le fila di quel disagio sociale che poi arriva alla cooperazione sociale che deve oc­cuparsene con sempre meno risorse. È in questo contesto di incomprensione nei confronti del sociale e dell’economia civile che va anche inquadrato il tema dell’Imu sul­le strutture del mondo non profit e delle isti­tuzioni religiose, di cui si è molto parlato, ma di cui è forse bene parlare ancora e più a pro­posito. Via Tuscolana, Roma. Una comunità di sale­siane, circa 20 suore, porta avanti da decen­ni una scuola elementare e materna. Molte sorelle, alcune ottantenni, lavorano come vo­lontarie nella scuola, assistendo i bambini negli intervalli, o rispondendo al centralino. Ho visto personalmente genitori che il gior­no in cui si aprono le iscrizioni, arrivano la se­ra prima e pernottano di fronte alla scuola per non restar esclusi dai pochi posti a di­sposizione. Perché questa comunità conti­nua a portare avanti questa scuola? Per due principali ragioni: per rispondere a un biso­gno urgente e vitale del territorio, e perché per le salesiane le opere educative non sono un accidens, ma parte essenziale della loro vocazione e del loro carisma. Quando quel­le suore da giovani hanno risposto a una vo­cazione, si sono donate anche ai giovani e al­la loro educazione.L’Italia, almeno la sua parte migliore, l’han­no edificata anche, e in determinati momenti storici, soprattutto i carismi religiosi. Assieme, in una certa misura, a quelli laici. Quando lo Stato Italiano non c’era ancora, o le sue isti­tuzioni erano inesistenti o troppo fragili, Cot­tolengo, Don Bosco, Don Orione, Scalabrini, Francesca Cabrini, hanno curato e amato le tante forme di povertà e di esclusione del lo­ro tempo, rendendo la società italiana più ci­vile e la vita di tanti, poveri e meno poveri, possibile. Le loro strutture e le loro case so­no diventate dei veri beni pubblici, come e più di fontane, parchi, teatri, musei. E in molti casi lo sono ancora, costituendo un patri­monio del nostro Paese. Centinaia di migliaia di bambini, ragazzi e giovani oggi sono ancora educati e amati da opere nascenti dai cari­smi.Solo uno sguardo distratto può chiama­re 'attività commerciale' la scuola di un or­dine religioso o la mensa attivata in una par­rocchia: sono espressione diretta e imme­diata del carisma. E sono attività diverse da quella for profit non perché e quando 'non fanno utili' (come recitano i testi normativi circolati in questi giorni), perché il fare o non fare utile non può essere il criterio per capi­re queste realtà, e per capire le tante realtà re­ligiose e laiche (culturali, ricreative, sportive …) che gestiscono attività che hanno anche una dimensione commerciale. Ecco perché dietro progetti (e polemiche) sul­l’allargamento della tassazione sugli immo­bili agli 'enti non commerciali' (oggi parlia­mo di Imu, ieri di Ici) si nasconde molto di più di una faccenda 'cattolica' (e qui bisogne­rebbe ragionare su quanto male fa all’Italia leggere ogni cosa in chiave ideologica pro o contro la Chiesa!): è una questione che ri­guarda anche e soprattutto la vocazione ci­vile ed economica del Paese, la nostra storia e la nostra cultura. C’è poi il dato concreto che molte di queste opere carismatiche si muovono da anni sul filo della sopravvivenza: ricevono somme ir­risorie dagli enti pubblici, e sopravvivono per la tanta gratuità che riescono ad attivare. Far pagare l’Imu per gli immobili di queste e di tante altre scuole e opere 'comunitarie' si­gnifica, di fatto, non capire il valore di tali realtà, non stimarle, e rendere la loro vita mol­to difficile, in certi casi insostenibile. Con qua­li conseguenze? S i renderà più facile la dismissio­ne o svendita di queste struttu­re, magari a speculatori, che rad­doppieranno le rette, impoveriranno ancora le famiglie e impoveriranno anche la cultura e la storia dei nostri territori. È questo che si vuole? È davvero que­sto che l’Europa imporrebbe al patrio governo su richiesta di un manipolo di politici che hanno fatto ricorso contro l’Italia perché colpevole di 'aiuti di Sta­to' alle attività non profit?Nell’attuale straordinaria fase politica e di governo continua purtroppo e, di fatto, si sviluppa una tradizione vec­chia ormai di decenni, che non ha oc­chiali per 'vedere' il civile italiano (che non è quello inglese né quello Usa). Non a caso il primo taglio della spen­ding review è stata la chiusura dell’A­genzia per le onlus, e l’ultimo (speria­mo) è picconare le opere del 'civile', e quindi i poveri. Non si tratta di 'equità' (trattare la Chiesa e le sue opere come tutti), si tratta di avere o non avere una idea di Italia, una idea della fisiologia del malato da curare. Perché la più grande ingiustizia è trattare allo stesso modo realtà diverse: non distinguere tra il significato civile ed economico di una business school e una scuola di Don Orione o un asilo tenuto in piedi da u- na parrocchia.Si agitano mediatica­mente le note e abusate storie dei 'bed e breakfast' di proprietà di ordini reli­giosi ma gestiti con modalità impren­ditoriali e, spesso, da soggetti for profit (che infatti, anche con la legge attual­mente vigente, devono pagare Imu e ogni altra imposta), e non ci si rende conto che con gli interventi normativi oggettivamente contro il non profit sa­ranno proprio le attività for profit che aumenteranno. Pagheranno tutti l’Imu anche quelli che operano senza fini di lucro, ma i cittadini pagheranno un prezzo molto più alto, e il nostro Pae­se finirà per perdere l’apporto di realtà secolari.
Tutto per una radicale rival­sa ideologica abbinata alla voglia di fare un po’ di cassa; una cassa che, di­versamente dalla Francia, non si ha la forza politica di fare aumentando di 20 punti percentuali l’Irpef dei su­per-ricchi, continuando così a chie­dere di più ai poveri e alla sempre più impoverita classe media. Lo spettacolo di corruzione e immo­ralità di questi giorni si cura alimen­tando gli anticorpi, immettendo cel­lule sane nel corpo italiano grave­mente malato, anche per avere e­marginato i carismi dalla vita civile. Non sarà l’allargamento del mercato for profit a salvare l’Italia.​
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