Lavoro, crescita e crisi demografica: perché occorre ripartire dalle donne
venerdì 11 febbraio 2022

“Le donne sono escluse dal lavoro e la marginalità femminile rallenta lo sviluppo, oltre che essere un ritardo civile e umano”. Il Convegno annuale dell’Istituto Bachelet (Roma, 11-12 febbraio), dedicato alla responsabilità della donna nella Chiesa e nella società, fa suo questo passaggio del discorso di insediamento del Presidente Mattarella e lo declina con riferimento alla famiglia, all’educazione, alla politica, alla comunità ecclesiale, al lavoro. Questo ultimo tema assume un valore emblematico e trasversale rispetto a tutte le altre dimensioni.

Come noto il nostro tasso di occupazione complessivo ci pone agli ultimi posti in Europa e all’interno di questo il divario tra tasso di occupazione maschile e tasso di occupazione femminile è di ben 17 punti percentuali.

Per portarci al livello di Francia e Germania sarebbero necessari da 2 a 3 milioni di posti di lavoro in più e questi dovrebbero essere coperti in larga misura dalle donne.

Il tutto va poi collegato alla crisi demografica in atto. Drastico calo della natalità, aumento dell’età media della donna al primo figlio (32 anni) e correlativamente riduzione del tasso di fecondità (1,34 figli per donna in età fertile).

Per far fronte alla situazione sinteticamente tratteggiata, le donne dovrebbero dunque lavorare di più e nel contempo fare più figli. Ma qui sta l’impasse. I figli costano sia per la carenza di servizi sia per una fiscalità storicamente non amica della famiglia. Il lavoro delle donne è in molti casi frammentario e mediamente meno retribuito rispetto al lavoro maschile. Nasce da qui una circolarità viziosa.

Come indurre le coppie con lavoro precario, che stentano ad arrivare a fine mese ad avere figli? Come indurre le madri ad accettare un lavoro il cui beneficio è sovente inferiore ai costi aggiuntivi per crescere i figli? Su queste tematiche si gioca il futuro del welfare nel nostro Paese.

Al riguardo due questioni specifiche meritano di essere richiamate. La prima questione concerne la non facile conciliazione tra lavoro e famiglia. Questa sovente cessa di esistere alle soglie del mondo delle imprese e delle istituzioni. Il “carico” di famiglia (l’espressione tradizionalmente usata è quanto mai significativa) è visto come un vincolo per la fluidità dei processi produttivi, salvo poi accorgersi che, in molti casi, la famiglia più che un peso è una riserva di flessibilità, capacità di ammortizzazione, spirito di iniziativa su cui val la pena investire come emerge da molte esperienze di welfare aziendale.

La seconda questione, legata alla prima, riguarda il persistere delle diseguaglianze tra uomini e donne nell’ambito dei lavori, delle professioni, delle istituzioni,delle dimensioni famigliari. Costituisce ormai un convincimento largamente diffuso a livello internazionale che l’eliminazione del divario di genere favorisce la crescita complessiva dell’economia. Da uno studio predisposto per la Commissione Europea risulta che una reale parità sul fronte dell’occupazione tra uomo e donna farebbe crescere il prodotto interno lordo della UE del 27%. Per il nostro Parse l’aumento sarebbe di ben il 32%.

In quest’ottica d’intesa con le parti sociali, può essere correttamente posto lo sviluppo di forme e regimi lavorativi più flessibili, ma non per questo privi di garanzie e meno rispettosi delle esigenze dei lavoratori e delle lavoratrici coinvolti. Forme e regimi lavorativi pensati per venire incontro, da un lato, alle differenziate e articolate esigenze dell’offerta (femminile ma non solo, si pensi anche alle opportunità per giovani e anziani nelle fasi di ingresso e di uscita dal mercato del lavoro) e dall’altro alle necessità della domanda effettiva e potenziale espressa dalle aziende.

Possono emergere nuove attività, nuove possibilità di impegno lavorativo, specie nell’ambito dei servizi alla persona e alla collettività, innovando nei rapporti tra tempi e luoghi di lavoro e di vita.

Dall’esperienza faticosa e sofferta delle donne deriva oggi un messaggio fondamentale che va colto in tutta la sua portata. Ci riferiamo alla volontà di conciliare il ruolo di moglie e e di madre con la valorizzazione piena dei propri talenti, nel più ampio contesto del lavoro extradomestico e anche dell’impegno civile.

In altre parole, attraverso l’esperienza e la cultura delle donne è possibile una reinterpretazione del lavoro in rapporto alla famiglia e alla società. Ci si rende conto che tematiche e valori ritenuti “femminili” diventano strategici per tutti. Il mondo del lavoro richiede umanizzazione, ricomposizione di aspetti e dimensioni per lungo tempo separati, attenzione alle attese della gente e dell’ambiente, sintonia con i valori della vita privata e sociale.

Professore emerito Università di Genova, Vice presidente del Consiglio scientifico dell’Istituto Bachelet

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