Rimuoviamo la pandemia non la cura dei più colpiti
sabato 12 marzo 2022

Lo scoppio della guerra tra Russia e Ucraina ha praticamente cancellato la nostra attenzione sul coronavirus, facendo dell’epidemia un lontano ricordo. Dopo due anni, la tematica del Covid-19 è stata messa da parte e il conflitto che ci fa stare tutti con il fiato sospeso è stato l’argomento al quale abbiamo rivolto le nostre attenzioni sia in rete sia nella realtà. Non che disdegnassimo l’idea di rimuovere l’argomento 'pandemia' dalle nostre vite.

Da quando si è cominciato a parlare della fine dell’emergenza sanitaria ho notato attorno a me lo sforzo per vivere con l’idea che possiamo considerare quello che è successo solo una parentesi lunga e dolorosa da dimenticare alla svelta. Invece c’è una memoria da coltivare: del dolore, della condivisione, del sacrificio, dell’impegno per gli altri, dell’accettazione della realtà. C’è una lezione umana della pandemia che non va rimossa come fossimo sassi nel torrente che, una volta asciugati, scoprono di essere rimasti tali e quali a prima. Fare memoria non è importante solo per questioni di principio: perché non è possibile scordare i morti, i medici e il personale sanitario che si sono prodigati in una lotta impari, o il mondo della scuola che, in condizioni proibitive, si è sforzato di offrire comunque istruzio- ne e formazione.

Il Covid ci ha fatto scoprire il senso degli affetti e della verità, l’importanza di condividere paure e speranze e ora, nella normalità sanitaria che si profila davanti a noi, dobbiamo impegnare queste risorse nelle sfide urgenti che ci aspettano. Le drammatiche notizie provenienti dal fronte dell’Ucraina, l’orrore che proviamo per le atrocità belliche che si susseguono, rischiano di farci mettere tra parentesi l’urgenza di aiutare le tante persone vulnerabili che sono state messe a dura prova durante l’epidemia che ci ha colpiti negli ultimi due anni. Quanti di noi, per esempio, conoscono persone che si sono viste rimandare interventi chirurgici o ospedalizzazioni a causa del coronavirus?

Assieme ai loro familiari, sono moltissimi quelli che, a motivo dell’emergenza che attraversavamo, hanno sofferto gravi ripercussioni sulla salute psico-fisica per le limitazioni, per i ritardi, per l’interruzione e a volte anche, di fatto, per la negazione delle cure, dei farmaci, dei test diagnostici, delle terapie riabilitative. I prossimi mesi e anni dovranno essere permeati dagli sforzi per aiutare questi nostri cari fratelli e sorelle – e le loro famiglie – a integrarsi nuovamente nella società, a realizzare il loro potenziale, a partecipare attivamente alla vita familiare, lavorativa, sociale, indispensabile per lo sviluppo della loro personalità, uscendo così dalla discriminazione e solitudine che la pandemia ha generato. Ciò che non è stato possibile per lunghi periodi ora va integrato con una nuova prospettiva e con maggiore precisione.

«Ai più vulnerabili – ha detto papa Francesco il 20 dicembre 2020 in occasione in occasione della XXIX Giornata Mondiale del Malato – non sempre è garantito l’accesso alle cure, e non sempre lo è in maniera equa. Questo dipende dalle scelte politiche, dal modo di amministrare le risorse e dall’impegno di coloro che rivestono ruoli di responsabilità. Investire risorse nella cura e nell’assistenza delle persone malate è una priorità legata al principio che la salute è un bene comune primario». L’uscita dalla pandemia è esattamente il momento in cui attuare queste scelte sia al livello grande delle strategie politiche come a quello più piccolo e quotidiano delle associazioni, delle famiglie e delle singole persone.

Attenzione alla solidarietà, al desiderio di eguaglianza, al sognare che tutti raggiungano l’obiettivo delle medesime possibilità e di poter godere dei medesimi diritti è qualcosa che non riguarda solo la salute. Anche il lavoro, che durante la pandemia è diventato precario e solitario, può davvero assumere un valore nuovo. Non solo quello di sbarcare il lunario, ma quello di sostenere ciascuno nella propria dignità. Nel nostro ambito, tutti siamo chiamati ad avviare processi che garantiscano forme di cooperazione, di condivisione delle conoscenze e di sistemi sanitari più sostenibili e resilienti che non dimentichino i bisogni dei più vulnerabili e non lascino indietro nessuno.

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