Ridurre le disuguaglianze tra nazioni via per allentare le tensioni globali
sabato 30 settembre 2023

Le notizie sulla difficoltà di far tornare i conti nella prossima legge di bilancio si intrecciano a quelle degli arrivi dei migranti sulle nostre coste e delle violenze di genere che lasciano sgomenti. Le vicende nazionali si mescolano con le notizie della guerra in Ucraina e di golpe in Paesi africani. Tutto viene scomposto, separato, da una sempre più raffinata arte semplificatoria, come se non ci fosse interconnessione tra gli eventi, al fine di agevolare strumentalizzazioni di fatti e notizie nel tentativo di mantenere il proprio consenso elettorale. Eppure un filo conduttore ci sarebbe.

Si tratta dell’obiettivo 10 dello sviluppo sostenibile dell’Agenda 2030: ridurre le disuguaglianze di e fra le nazioni: una meta da non disattendere per condurre il mondo verso un futuro diverso. Lo scorso luglio eminenti economisti di 67 paesi hanno chiesto con una lettera alle Nazioni Unite e alla Banca mondiale di agire con urgenza per fermare l’aumento più significativo mai registrato del divario tra i più ricchi e i più poveri del mondo. Chiedono di raddoppiare gli sforzi per affrontare la crescente disuguaglianza estrema, sottolineando come l’obiettivo 10 sia largamente ignorato. Il golpe in Gabon dello scorso 30 agosto, l’ottavo in tre anni, è solo l’ultimo segnale di una grande instabilità del continente africano in cui grande responsabilità ha l’atteggiamento predatorio che da decenni vari paesi ricchi hanno nei confronti di risorse strategiche. Si tratta di una vera e propria razzia che rende quest’area del mondo teatro di conflitti e di grande miseria, ferita da una diseguaglianza che non lascia scampo e che mette in movimento forzato milioni di persone. Di queste solo un numero irrisorio riesce ad arrivare in Europa che non sa far altro che vergognosi accordi e finanziamenti con paesi terzi non sicuri nel tentativo vano di chiudere le frontiere per fermare i migranti.

L’economista Thomas Piketty scrive: «Senza un approccio globale di giustizia socio-economica, basato sulla diminuzione generalizzata delle differenze di ricchezza e di status, non potrà mai esserci una vera giustizia etnica; diversamente, si rischierebbe di accentuare le divisioni all’interno delle classi popolari. Va detto in modo chiaro: l’involuzione identitaria che imperversa da qualche decennio in molte parti del mondo deriva in gran parte dalla rinuncia a trasformare il sistema economico in senso egualitario e universalista, e ha portato all’inasprimento della competizione all’interno delle classi sociali» ( Misurare il razzismo vincere le discriminazioni, La nave di Teseo, Milano 2023). In Italia negli ultimi 40 anni gli investimenti sul welfare nelle varie leggi di bilancio hanno preso la strada dei tagli, più che quella della costruzione di maggiore uguaglianza sociale.

Oggi con una pandemia alle spalle che ha creato ulteriore disuguaglianza e povertà e una guerra in Europa che fa crescere l’inflazione e quindi le difficoltà per le componenti più vulnerabili del Paese, il rischio è l’esplosione di un conflitto sociale, che già da tempo cova sotto la cenere, alimentato negli anni da una propaganda che identifica lo straniero povero e irregolare, come il nemico da cui difendersi, unica causa di tutti i nostri mali. Per uscire da questa narrazione tossica e dalla situazione che ne deriva occorre non affrontare con approcci semplificatori i problemi, ma riconoscerne la complessità, e non soffiare sul fuoco del capro espiatorio con connotazioni identitarie, ma intraprendere con coraggio la strada della riduzione della disuguaglianza, partendo da ciò che per decenni si è colpevolmente tralasciato: l’attenzione alle fasce più fragili e povere dei cittadini (intesi in senso estensivo) nel nostro Paese e nel mondo.

Presidente del Centro Astalli

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