Riapriamoci l'orizzonte
sabato 2 novembre 2019

Dopo tanto (anomalo) caldo, l’autunno è arrivato con le piogge frequenti, le foglie cadenti e i nuovi dati sulla nostra economia sempre più stagnante. Un Pil che non riesce a crescere oltre lo 0,1% nel terzo trimestre (quello estivo), un’occupazione che segnala la perdita di 60mila posti in tre mesi e una fu grandissima impresa di tradizione italiana come Fiat-Fca che diventa un tassello in un sempre più composito puzzle multinazionale. Certo importante, ma nel cui disegno complessivo è difficile indovinare il domani che ci riguarda più direttamente, cioè il destino del nostro lavoro.

È un autunno di stagnazione, quello italiano, che sembra preludere a un ennesimo inverno del nostro scontento, a un’altra stagione di galleggiamento nelle migliore delle ipotesi, di sommersione più probabilmente. Almeno fin tanto che qualcosa non ci costringa finalmente a tirare fuori la testa per dare a questo Paese – solo se prima ancora lo avremmo fatto con noi stessi – un motivo valido per dire: qui siamo e qui restiamo, ci impegniamo, lavoriamo, tiriamo fuori il meglio delle nostre risorse, creatività e idee per un nuovo "rinascimento". Sì, perché oggi che è il 2 novembre lo possiamo dire a noi stessi: in realtà come sistema-Paese siamo morti e perciò abbiamo bisogno di rinascere. Abbiamo esaurito le energie e andiamo avanti solo per inerzia – in parte spendendo i patrimoni e le realizzazioni delle generazioni precedenti, in parte sfruttando le categorie più deboli come giovani e stranieri – tutt’al più attaccandoci a qualche locomotiva estera, che infatti appena si ferma come accade oggi alla Germania, o introduce dazi come gli Stati Uniti, fa bloccare anche il nostro vagone. Lentamente ma inesorabilmente sempre più distaccato da quelli del resto dell’Unione Europea.

Negli ultimi 20 anni, infatti, la crescita cumulata dei Paesi dell’Eurozona è stata di oltre il 22%, quella italiana si è fermata ad appena il 2,8%. Siamo, assieme alla Grecia, l’unica nazione che ancora deve recuperare i livelli di ricchezza precedenti all’ultima grande recessione, proprio mentre all’orizzonte si profila il rischio di una nuova fase di crisi. Ci illudiamo che l’occupazione ancora regga, con oltre 23 milioni di persone al lavoro, ma queste cifre sono ombre cinesi: vediamo i contorni senza scorgerne il vero contenuto che è fatto di sottoccupazione, precarietà, bassa produttività (ai livelli del 1990), part-time involontario e salari inadeguati in particolare ancora per i giovani.

Ecco un altro dato che segnala inesorabile il declino: quando, come testimonia il Censis, gli over 65 hanno una ricchezza superiore del 13% rispetto alla media del Paese e le generazioni di chi ha tra i 20 e 30 anni inferiore del 54%, significa che, oltre a un problema di equità intergenerazionale, manca il carburante per innestare qualsiasi ripresa. Si comprende perché se ne vadano dall’Italia tanti fra i giovani con preparazione, capacità e voglia di rischiare. In 10 anni sono stati 250mila i ragazzi e le ragazze andati a lavorare all’estero. Con un danno per noi, secondo la Fondazione Leone Moressa, di 1 punto di Pil che questo capitale umano giovane avrebbe potuto apportare.

E così il Paese pare sempre più sclerotizzato. Nella sua classe politica, innanzitutto, anche la più 'nuova' appare incapace di darsi un orizzonte più lungo della prossima tornata di elezioni amministrative. Con una nuova maggioranza che, partita dalla giusta idea di un Green new deal, (un nuovo sviluppo verde) si è arenata sulla tassazione delle auto aziendali. E si è già spiaggiata nell’estenuante risiko delle singole forze politiche, interessate più che altro a piantare le proprie bandierine sui territori. Così che, al di là di qualche piccolo aggiustamento, di qualche decina di euro redistribuita, non si scorge alcun provvedimento – a favore delle imprese o del lavoro, di incentivo alla ricerca o agli investimenti – utile per dare una svolta e imprimere una spinta reale al Paese. Gli stessi sindacati finiscono per attardarsi, tutto sommato, su piccoli interessi, come l’estensione della 14esima per i pensionati, anziché rivendicare misure forti a favore di chi ha 20-30 anni ed è a casa, senza lavoro: ma chi sosterrà, di questo passo, le pensioni di oggi e quelle di domani? E gli imprenditori che pure in una loro componente illuminata avevano avanzato una proposta sensata – 'agevoliamo le assunzioni dei ragazzi e paghiamoli di più' – potrebbero darvi corso con un atto di coraggio in maniera autonoma: tornate a investire, assumete dei giovani, scommettete sulle loro capacità e idee, anziché continuare a fargli fare stage e contrattini, provate a pagarli il giusto senza inquadrarli quattro categorie sotto la media. E con questo capitale umano, rimasto in patria, forse, sarà possibile riportare l’Italia fra i leader di uno sviluppo 4.0.

Perché altrimenti l’autunno resterà plumbeo, come il tempo che ci sta davanti persino in quest’era di riscaldamento globale. Se non si riavvia la spirale positiva giovani-istruzione-ricerca-innovazione-investimenti-produzione-occupazione-sviluppo, questo Paese appare spacciato. E invece non ci si può arrendere: all’inverno del nostro scontento dobbiamo far seguire la primavera della rinascita. Anzi, del rinascimento.

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