sabato 25 aprile 2015
Il 24 aprile 1990 l’uccisione di cinque persone a Pescopagano. Liberazione e riscatto a 25 anni dalla «strage di neri». (Antonio Maria Mira)
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​Venticinque anni. Dal potere assoluto della camorra alla resistenza ai clan, al cammino di liberazione di un territorio. È il 24 aprile 1990, ed è passata da poco la mezzanotte. Davanti al bar "Centro" di Pescopagano, frazione di Castel Volturno, scoppia l’inferno. Un "gruppo di fuoco" camorrista guidato dal boss Augusto La Torre spara decine di colpi dentro e fuori il locale. Restano uccisi quattro immigrati africani e un italiano. Otto feriti, tra loro un ragazzino di 14 anni che rimane paralizzato. "Strage di neri, è camorra", titolò "Avvenire" in prima pagina. Una durissima azione ordinata dai "casalesi" per punire gli immigrati che volevano gestire lo spaccio dell’eroina. Ma a morire furono anche persone che non c’entravano nulla. Perché la camorra, allora nel pieno della sua potenza, si sentiva intoccabile, e comunque non tollerava gli immigrati che allora come oggi vivevano in migliaia tra degrado ed emarginazione. «Io accuso le autorità pubbliche dello Stato e anche quelle locali, di non aver voluto portare un buon governo nella nostra zona. C’è invece un’opera di nascondimento. Qui ormai siamo alla guerra civile». Così ci disse quel giorno l’allora vescovo di Sessa Aurunca, la diocesi di Pescopagano, monsignor Raffaele Nogaro. «Sì, allora era guerra, in un territorio senza legge, con omicidi quasi quotidiani. La camorra era fortissima, comandava dappertutto, occupava i comuni, decideva i sindaci. E i cittadini non si potevano permettere di denunciare».
Lo ricorda il procuratore di Reggio Calabria, Federico Cafiero de Raho, allora giovane pm, poi per molti anni alla guida della Dda di Napoli che in questi 25 anni ha inflitto al clan dei "casalesi" colpi terribili. «Da allora abbiamo assicurato al carcere a vita tutti i capi e tutti i responsabili degli omicidi – sottolinea con orgoglio –. Li abbiamo sottratti al territorio. E la gente ha cominciato a pensare che lo Stato c’è. Certo non si può dire che ora tutto sia un’oasi, ma sicuramente c’è stato un recupero di democrazia. Prima era impedito alla gente di esprimersi liberamente contro la camorra. Oggi lo fa».Un cambiamento lungo 25 anni che ha avuto un momento di svolta quattro anni dopo, il 19 marzo 1994. «L’uccisione di don Peppe Diana fu per noi un colpo durissimo, ma da lì la "resistenza" ha preso forza. È stata una lunga guerra di trincea, una conquista pezzo a pezzo della società civile. Un percorso lento ma che ha prodotto grandi risultati, grazie a una nuova coscienza civile, a un desiderio di rinascita, di risurrezione». Ne parla uno dei protagonisti, Renato Natale, da dieci mesi sindaco di Casal di Principe, amico del parroco ucciso e medico degli immigrati proprio a Castel Volturno con l’associazione Jerry Masslo, un africano ucciso nel 1989.
Lo incontriamo proprio in un momento di riscatto: la firma del decreto di assegnazione al Comitato don Peppe Diana di una villa confiscata al boss Egidio Coppola "Brutus". E che dal 21 giugno al 21 ottobre ospiterà la mostra degli Uffizi "La luce vince l’ombra". La firma avviene nell’aula consiliare intitolata proprio al parroco. «Io fui testimone della sua morte – dice Renato Natale – oggi lui è testimone di questo atto». E lo sono anche una trentina di studenti vicentini delle scuole superiori. «Siamo qui per imparare e per poi riportare queste storie di riscatto sul nostro territorio», spiega il professor Franco Venturella, che li accompagna. Così come sono venuti i dirigenti della Fim Cisl per l’annuale corso nazionale. Spiega il segretario generale Marco Bentivogli: «Abbiamo scelto di essere qui, al fianco degli amministratori che si oppongono ai clan. Perché, come dice Papa Francesco, la corruzione e la mafia puzzano, mentre il lavoro libera». Ne è esempio il luogo dove i sindacalisti e i ragazzi vicentini hanno mangiato: la villa confiscata a Mario Caterino "a botta". È la nuova sede della Nco, Nuova cooperazione organizzata, che raccoglie le cooperative sociali protagoniste di quello che è stato battezzato «modello casertano dell’antimafia sociale». Nella grande villa del boss c’è un accogliente ristorante dove lavorano persone con disagio mentale che hanno trovato una vera integrazione.
«E anche questa è una sconfitta della camorra», sottolinea il presidente Peppe Pagano. Così come il laboratorio di ceramica, sempre nella villa, e la "cioccolateria" in un altro bene confiscato assegnato alla parrocchia di San Nicola, la chiesa di don Diana, oggi guidata da don Franco Picone. E poi ancora le cooperative che a Casal di Principe, San Cipriano d’Aversa e Sessa Aurunca coltivano terreni confiscati ai clan, dando opportunità concrete di vita a giovani e adulti con gravi patologie psichiatriche (anche ex Opg). Mentre proprio a Castel Volturno opera da anni la cooperativa "Le terre di don Peppe Diana-Libera Terra" che produce la "mozzarella della legalità" biologica. E i prodotti delle cooperative e di alcuni imprenditori antiracket finiscono nelle 10mila confezioni di "Facciamo un pacco alla camorra" che da 6 anni arrivano in tante case italiane per raccontare questa storia di riscatto. È parte del progetto "La Res", la rete di economia sociale che come spiega il Presidente del Comitato, Valerio Taglione, «vuole mettere insieme buona imprenditoria, buona politica, buona scuola, società civile, in un’alleanza che partendo dai beni confiscati si contrapponga a chi ha fatto affari con la camorra e che ora prova a rigenerarsi». Magari, aggiunge Natale, «sperando nel nostro fallimento».«Sicuramente quella camorra è stata sconfitta. Ma quella terra aveva delle grandi risorse che sono rimaste occasioni perse – riflette Raffaele Cantone, presidente dell’Autorità nazionale anticorruzione, che come pm scoprì e fece condannare i responsabili della strage –. Certamente dei cambiamenti importanti ci sono stati. Sono però lenti e dobbiamo essere molto attenti perché non si fermino. Un tempo la gente non faceva il tifo per noi. Stava in silenzio. Ora tanti non stanno più in silenzio. Ma non basta. Ce lo dice don Peppe». La strada è imboccata ma è difficile. Così a Pescopagano la realtà dopo 25 anni è cambiata poco. La camorra è sicuramente meno forte, ma il degrado rimane. Come allora le sole realtà positive sono la parrocchia di San Gaetano da Thiene e la scuola materna che ospita tanti piccoli delle famiglie di migranti, entrambe affidate all’Opera "Piccola Casetta di Nazareth". Al di fuori il vuoto. Come quello che vedemmo quel giorno del 1990, il nostro primo incontro con le "terre di Gomorra", oggi sempre più "terre di don Peppe Diana".
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