sabato 31 marzo 2012
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I dati sulle dichiarazioni dei redditi 2011 diffusi ieri dal ministero dell’Economia dicono sostanzialmente tre cose: che gli italiani guadagnano – o meglio, dichiarano di guadagnare – abbastanza poco: 19.250 euro lordi, nemmeno 1.200 euro al mese; che gli imprenditori denunciano statisticamente entrate inferiori a quelle dei loro dipendenti, solo 18.000 euro l’anno; che un contribuente su quattro risulta così povero da non versare alcuna tassa.Di fronte a queste cifre, nel momento in cui sui contribuenti si sta abbattendo una stangata fiscale di proporzioni storiche, si impone una considerazione: il solo reddito da lavoro è un indicatore sempre meno affidabile nel valutare le reali condizioni sociali ed economiche. Come per il Pil degli Stati, anche l’imponibile Irpef non riesce più a dire molto dei veri livelli di benessere o di bisogno delle famiglie. Oggi a fare la differenza è sempre di più la presenza di rendite o patrimoni, qualcosa che quasi mai si è costruito in prima persona. Molto più di un tempo, a incidere sono variabili diverse dalla busta paga, elementi che possono diventare potenti moltiplicatori di ricchezza o di disagio, ma che non riescono a essere considerati dal fisco.Per rendersene conto basta pensare al peso che hanno il numero dei figli, la presenza di reti familiari, la località di residenza, l’orario di lavoro e i costi di trasporto per raggiungere l’azienda, i patrimoni ereditati o le proprietà messe a rendita. Terminare il lavoro più tardi o dover essere occupati nei giorni festivi obbliga le famiglie a spese maggiori per la cura dei figli. Doversi indebitare per la prima abitazione è una circostanza capace di fare una grande differenza. Avere a carico un familiare con problemi sanitari avvicina molto velocemente alla soglia di povertà. La realtà è talmente sbilanciata a favore di fattori diversi dal reddito che, per fare un esempio diretto, un nucleo di due o tre componenti con un reddito nella media può facilmente trovarsi in condizioni meno disagiate rispetto a una famiglia con il doppio delle entrate, ma più figli a carico, turni "complessi", minori sostegni e nessuna proprietà. Con la differenza che il fisco premia il primo e punisce duramente il secondo.Le distorsioni, come la penalizzazione dei nuclei numerosi che si attua negando la possibilità di valutare il reddito familiare, ci sono sempre state. La novità di oggi è che, in una situazione di elevato stress fiscale, con la pressione tributaria al 45%, i nuovi sacrifici rischiano di annientare il concetto stesso di equità, trasformando il sistema di tassazione da meccanismo per la redistribuzione della ricchezza a macchina generatrice di squilibri e ingiustizie. Un sistema fiscale che guarda solo a quanto reddito si dichiara, tende a favorire il disimpegno rispetto all’impegno professionale, la ricerca di una rendita per sopravvivere in luogo degli sforzi per investire guardando al futuro, continua a difendere le ricchezze accumulate (o tramandate) e messe a rendita, rispetto a quelle generate nel presente e che ritornano alla società anche in termini di maggiore crescita. Non dimentichiamoci che se il sistema delle pensioni è entrato in crisi, e se il debito è diventato un fardello insostenibile, è anche perché il fisco ha storicamente protetto e favorito la figura del lavoratore singolo a bassa qualifica, penalizzando il modello della famiglia con prole.Lo Stato spende 55 milioni di euro per le detrazioni sulla frequenza di piscine e palestre da parte dei minorenni, 17 milioni per gli sconti sulle spese del veterinario, e solo 34 milioni per alleggerire di un niente la spesa per gli asili nido. Il Fisco rinuncia a 8 milioni di euro per favorire le donazioni ai partiti politici e stanzia solo 6 milioni per le spese sostenute dai genitori nelle pratiche di adozione. Immaginare un diverso e più incisivo sistema di detrazioni per le spese che realmente fanno la differenza, riconoscere il valore della crescita dei figli e il loro numero con meccanismi come il "fattore famiglia", accettare l’idea che un patrimonio cambia molto di più la vita di un reddito, riducendo il numero di aliquote e spostando la pressione fiscale su rendite e consumi voluttuari, potrebbero essere spunti importanti nel tentativo di svecchiare il sistema fiscale e renderlo più aderente alla realtà. Una svolta culturale che, nel premiare maggiormente il merito e il sacrificio al posto della "fortuna" e dell’inerzia, avrebbe un impatto sull’economia molto più efficace di tante pseudo riforme che si rifanno a un’idea limitata del mercato.
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