sabato 29 dicembre 2018
Alta qualità e successo di pubblico grazie a investimenti sempre maggiori. Ma nella battaglia delle produzioni famiglia e adolescenti sono trascurati
Una scena della serie tv «L'amica geniale», tratta dal romanzo di Elena Ferrante

Una scena della serie tv «L'amica geniale», tratta dal romanzo di Elena Ferrante

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Il successo di pubblico della serie L’amica geniale conferma la vitalità e la grande trasformazione che stanno vivendo in questi anni le serie televisive. Una serie dal sapore letterario, recitata in dialetto napoletano con sottotitoli e co-prodotta da una rete americana importante come Hbo (il canale del Trono di spade, per citare solo un titolo fra molti) è stata un’altra scommessa vinta, come molte in questi ultimi anni, dalla fiction Rai. I circa sette milioni di ascoltatori medi si inseriscono in un panorama in cui la Rai sta affermando la propria serialità tanto a livello nazionale che internazionale. Sul primo fronte continuano i grandissimi successi di pubblico di prodotti assai longevi come Montalbano e Don Matteo (insieme a diversi altri), ma abbiamo assistito negli ultimi anni al lancio di nuovi personaggi e nuove serie (per es. L’allieva, Maltese, altri ottimi successi in termini di numeri; e il più problematico Rocco Schiavone, che si affianca ad altri prodotti di nicchia per un pubblico più giovane o più sofisticato).

Ma il grande salto è l’entrata ormai definitiva nel giro delle grandi produzioni internazionali, quella serie A della produzione televisiva che a partire da un Paese, e magari proprio perché fortemente 'colorata' localmente, va poi in tutto il mondo. In questa stagione, oltre a L’amica geniale, c’è stata la messa in onda della seconda annualità del progetto Medici, di cui si sta finendo di girare la terza stagione, che andrà in onda in autunno 2019. Arriverà invece già in primavera (speriamo bene sui contenuti...) Il nome della rosa, rivisitazione seriale, dopo un film non particolarmente brillante, del best-seller degli anni ’80 che ha reso Umberto Eco celebre nel mondo. Nel frattempo la Lux vide, dopo i Medici, sta già sviluppando con Rai e altre Tv pubbliche europee una serie su Leonardo da Vinci, che dovrebbe prendere il via dalle celebrazioni del centenario della morte del genio che seppe unire creatività e scienza, arte e tecnologia.

C’è quindi grande effervescenza nel mondo della produzione italiana, che sta sperimentando nuove formule e lanciando nuove idee: la partecipazione – come coproduzione o preacquisto – di Netflix, di Amazon, di reti come Hbo o altre simili rende disponibili budget una volta impensabili e questo amplia molto il campo per la produzione nostrana. Ha aperto la possibilità di tentare formule nuove, di produrre per esempio progetti in costume (è in preparazione anche un Beati Paoli, con la supervisione di Tornatore), notoriamente molto costosi.

Certamente quindi il peso di Netflix (e delle sue sorelle) si sente anche da noi, benché le scelte di questo colosso americano lascino davvero più di una perplessità. L’investimento su produzione e acquisto di contenuti nel 2018 da parte di questa piattaforma, secondo diverse fonti, è stato di circa 8 miliardi di dollari. Un’iniezione di denaro che ha fatto praticamente raddoppiare nel giro di pochi anni il numero di serie prodotte annualmente negli Stati Uniti, con conseguente aumento dei costi, rarefazione della disponibilità di autori consolidati e – alcuni sottolineano – anche una caduta di livello medio nella qualità della scrittura. In più Netflix, oltre a produrre in proprio, acquista prodotti locali rilanciandoli a livello globale: il 'caso' di questi ultimi mesi è stato La casa di carta, serie spagnola di non grande successo in patria, che, rimontata per accelerarne il ritmo e rilanciata a livello globale, è diventata un fenomeno di culto, con un passaparola molto positivo: questa scorsa primavera-estate era la serie 'cool' che tutti dovevano vedere...

In Italia i titoli Netflix sono stati finora (oltre a una partecipazione in preacquisto di Medici) soprattutto Suburra e la serie distribuita nei giorni scorsi sulle baby squillo dei Parioli, dal titolo Baby...

Giustamente qualcuno si domanda come mai Netflix investa tanto: la risposta è che deve diventare grande in fretta per reggere l’urto della reazione, che sta per arrivare, dei grandi possessori di contenuti pregiati, prima fra tutte le Disney, che non è stata con le mani in mano: ha comprato tutta la parte cinematografica e di serie Tv (magazzino compreso) di 20th Century Fox, e si appresta a lanciare nel 2019 un suo servizio in streaming (probabilmente si chiamerà Disney+) in cui farà valere l’esclusività dei suoi contenuti, che non sono solo l’animazione Disney e Pixar che tanto successo miete in tutto il mondo, ma anche Marvel (SpiderMan, X Men, Avengers, Iron Man, ecc.), Lucas Film (tutto il mondo collegato a Guerre stellari) e un brand che ha i suoi appassionati come National Geographic, acquisito insieme a Fox. Questo spiega in parte quanto scriveva pochi giorni fa su queste pagine Angela Calvini a proposito dei progetti di target bambini/ragazzi che Netflix sta sviluppando.

Dell’ultima produzione italiana di Netflix si è già parlato in queste pagine: una serie che lascia più che perplessi per i contenuti e che certamente non è un capolavoro di scrittura...

Va però a inserirsi, Baby, in un trend di rappresentazione del mondo giovanile che ne accentua esclusivamente i tratti più trasgressivi e, della complessità della crescita di un adolescente e dei suoi problemi (amicizia, studio, progettazione del futuro professionale, sport, relazioni con il mondo, interessi politico-sociali, volontariato...) sembra invece fermarsi solo al sesso e alla marijuana...

Da questo punto di vista è interessante osservare come se si passa dai prodotti per bambini, che sono assai spesso così belli, appassionanti e pieni di valori (pensiamo soprattutto all’animazione mainstream che miete successi nelle sale e nelle serie televisive di tutto il mondo, dai film Pixar alle serie per bambini come Peppa Pig, Masha e orso, ecc.), c’è poi la proposta positiva e ottimista del 'mondo Disney' delle serie live action, con prodotti garbati e ottimamente confezionati come Alex & Co., Penny on Mars, ecc., che hanno grande seguito fra bambini più 'grandi' e poi preadolescenti giovani. Ma da lì si arriva poi direttamente – con un bel salto tematico e di contenuti – ai pugni allo stomaco di serie come Thirteen (sempre Netflix), con al centro il suicidio di una ragazza bullizzata, e comunque nelle varie serie proposte, a una rappresentazione degli adolescenti che è tutta incentrata su sesso-trasgressione- alcol o droga-violenza...

Una felice eccezione, su Netflix, è stata Stranger Things, con i suoi echi spielberghiani, anche in questo caso oggetto di un passa parola molto positivo fra i ragazzini e anche i nostalgici degli anni ’80. Da noi un’altra assai felice eccezione – non a caso di grandissimo successo in Italia – era stata pochi anni fa la serie Rai Braccialetti rossi, che era riuscita a toccare con delicatezza e profondità il tema della malattia e della morte, con un’enfasi sulla amicizia, la solidarietà, la voglia di lottare, che hanno trovato grande rispondenza nel pubblico dei ragazzi, portando a fenomeni di fandom difficilmente eguagliabili per una serie italiana per ragazzi. Non è un caso che fra le diverse 'localizzazioni' del format originale catalano ( Polseres vermelles) la versione italiana fosse la più positiva, solidale e aspirazionale. La versione americana, Red Band Society, come illustrato recentemente da Paolo Braga in un convegno internazionale tenutosi all’Università Cattolica, era invece molto più piena di cliché, di durezze innecessarie e di conflitti esasperati ed era stata chiusa dopo poche puntate per lo scarso riscontro di pubblico.

Il problema della rappresentazione del mondo adolescenziale è anche per la Tv e il cinema italiano un qualcosa con cui ancora non si riesce a fare bene i conti. Dopo la felice eccezione di Bianca come il latte rossa come il sangue (romanzo e film), il cinema italiano non sembra aver dismesso la tendenza a raccontare per lo più giovani nullafacenti di famiglie benestanti (dalle Notti prima degli esami in poi... passando per i vari film di Moccia e arrivando ad altre opere recenti di minor successo), oppure storie superproblematiche al confine con criminalità, droga o altre situazioni fortemente degradate... Manca tutta la vita normale, che – come si sa – è la più difficile da raccontare, ma questa sarebbe proprio la sfida per una cultura audiovisiva che vorrebbe diventare matura. Raccontare la vita 'normale': per quanto riguarda la famiglia nel suo complesso, ci hanno provato di nuovo gli americani recentemente con This is Us, serie di grande successo sul canale generalista Nbc, dove la famiglia viene descritta in modo non esente da problemi, ma con un fondo positivo e senza mettere in discussione l’amore che la innerva... Eppure anche Netflix quando vuole sa proporre contenuti di qua-lità: alcune delle serie citate ne sono testimoni, come pure lo è – sempre pensando a serie per un pubblico più generale – la celebrata ed elegantissima The Crown.

Ma visto che siamo in tempo di feste chiudiamo segnalando proprio su Netflix un bel cartone animato di 30 minuti per bambini (ma che fa commuovere tutti): Il Natale di Angela, tratto da un racconto autobiografico del romanziere irlandese Frank McCourt. Quando vuole, anche Netflix ha un cuore.

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