Questo tempo forte e la vera felicità
venerdì 30 marzo 2018

È di poche settimane fa la pubblicazione dell’ultimo Rapporto mondiale sulla felicità, un esercizio che viene compiuto da alcuni anni a livello mondiale per sottolineare la centralità del benessere umano nella vita delle nazioni e nella economia dei popoli. Questo giornale, che da tempo valorizza gli indicatori che completano quello relativo al Pil, si è già occupato di commentare i risultati dell’Italia nelle graduatorie pubblicate dal Rapporto: 47° su 141 per la soddisfazione nei confronti della vita e 119° per i cambiamenti avvenuti nella soddisfazione negli ultimi tre anni.

Reddito, salute, libertà di iniziativa, assenza di corruzione, relazioni umane e gratuità sono le sei dimensioni che spiegano il benessere misurato dal Rapporto. Negli anni più recenti questo genere di misurazioni ha avuto un notevole sviluppo e l’attenzione si è concentrata in particolare sull’Indice Better Life dell’Ocse, che comprende numerosi indicatori di tipo materiale (reddito, lavoro e casa) e relativi alla qualità della vita (salute, educazione, impegno civico, governance, legami sociali, ambiente, sicurezza, benessere soggettivo). La crisi economica sembra aver accentuato il bisogno di trovare nuovi concetti e nuove modalità di misurazione delle condizioni di vita nel mondo, e di tenere nel dovuto conto le tante dimensioni che la compongono, che hanno a che fare con il sistema di equilibrio che esiste tra il soggetto, la comunità e l’ambiente. Per cui benessere e malessere vanno intesi come concetti relativi, definibili rispetto al contesto, e dinamici, nel loro carattere di “costruzioni sociali”.

Ma siamo sicuri che le misurazioni proposte, che sono spesso il frutto di difficili mediazioni tra lingue e culture diverse, siano lo strumento giusto per capire quale è il livello di benessere di un popolo o di un territorio e per orientare le scelte politiche e sociali? E siamo sicuri di pensare tutti alla stessa cosa quando parliamo di felicità e di benessere?

È dall’antichità che l’umanità si interroga su cosa sia la felicità, e risale ad Aristotele una distinzione, ancora oggi considerata fondamentale, tra ricerca del piacere (la dimensione edonica della felicità), che corrisponde alla prevalenza degli sforzi nella direzione del benessere materiale in una forma tendenzialmente egoistica, e vera felicità (la dimensione eudaimonica), che rimanda a una serenità e a un benessere che si nutrono di processi armonici di scambio e di sostegno nella comunità di vita. Anche in tempi più vicini a noi, e all’interno dello stesso ambito di studi sociali ed economici che hanno dato vita alle recenti misurazioni del benessere e della felicità, molte analisi distinguono tra felicità privata e felicità pubblica, la prima più rivolta al soddisfacimento di bisogni personali e/o alla conquista di beni materiali e di uso privato, e la seconda legata a realizzare obiettivi di interesse collettivo e pubblico. Da cui anche lo sviluppo di una attenzione nuova nei confronti dei fattori etici e sociali che condizionano le scelte dell’economia, solo apparentemente asettiche.

Ma non è tutto. Zygmunt Bauman, ad esempio, il sociologo che più di altri si è sforzato di interpretare i problemi dell’epoca moderna secondo un approccio eticamente sostenibile, ha introdotto nelle riflessioni sulla felicità un’altra distinzione importante: quella tra l’infelicità di chi si preoccupa di quello che ha perso, guarda solo al passato e non è in grado di desiderare nulla di nuovo, e la felicità di chi ha fiducia nel futuro, accetta le sofferenze e le sconfitte e si pone in una posizione di superamento delle difficoltà, di rigenerazione e di nuova vita. Un approccio alla vita che punta a superare la dialettica tra sicurezza e rischio, tra individuo e comunità, tra beni individuali e beni collettivi, attraverso la speranza e l’impegno rigenerativo.

E che coincide con quello cristiano. Le misurazioni internazionali e le mediazioni concettuali sulla qualità della vita e l’etica economica sono sicuramente utili per orientarsi rispetto alle diverse dimensioni sociali, psicologiche, economiche e antropologiche di cui bisogna tenere conto in maniera consapevole quando ci si occupa del mondo intorno a noi. Ma la considerazione di tante diverse dimensioni tutte insieme rischia di nascondere il vero problema alla base della insoddisfazione dei nostri giorni, che è quello della difficoltà a distinguere tra crescita economica squilibrata e redistribuzione della ricchezza, piacere effimero e serenità di lungo periodo, crescita disordinata e crescita sostenibile ed equilibrata. Un maggiore discernimento andrebbe, in altre parole, introdotto nella impostazione concettuale dei temi dell’etica economica e della gestione dello sviluppo sociale, che può derivare proprio da un recupero di valori di rigenerazione e di solidarietà. E per noi cristiani la Pasqua di Resurrezione dovrebbe avere proprio questo significato e questa radicale funzione rigenerativa.

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