La Giornata dei missionari martiri
sabato 24 marzo 2018

Fare memoria della missione, alla luce del magistero di papa Francesco, significa innanzitutto e soprattutto ricordare il sacrificio di chi ha dato la vita per la causa del Regno. Ecco perché quello che celebriamo oggi è un atto dovuto. E ha una duplice valenza, laica e religiosa, che siamo invitati a compierlo nel giorno in cui ricorre la commemorazione della morte violenta di Óscar Arnulfo Romero y Galdámez, arcivescovo di San Salvador. In questo dies natalis di monsignor Romero – elevato all’onore degli altari, come beato, da papa Francesco, e presto santo – cade, infatti, la "Giornata internazionale per il diritto alla verità sulle gravi violazioni dei diritti umani e per la dignità delle vittime", proclamata dalle Nazioni Unite. Contemporaneamente, già da molti anni, in questo stesso 24 marzo siamo chiamati a celebrare i "missionari martiri", cioè coloro che, nella fede, hanno manifestato la parresìa, il coraggio di osare, nelle periferie geografiche ed esistenziali del nostro tempo, perché "Chiamati alla vita". Un’espressione, questa, forte e diretta, che quest’anno è stata scelta dalla Fondazione Missio – che rappresenta in Italia le Pontificie Opere Missionarie – come slogan per la 26ª Giornata di preghiera e digiuno in memoria dei missionari martiri.

Una gratuità, quella dei missionari martiri, che rende davvero intelligibile il Verbo, cioè la Parola forte di Dio. E ne sottolinea la permanente attualità. Nel 2017, secondo i dati forniti dall’agenzia missionaria Fides, sono stati uccisi nel mondo 23 missionari: 13 sacerdoti, un religioso, una religiosa e otto laici. Secondo la ripartizione continentale, per l’ottavo anno consecutivo, il numero più elevato si registra in America, dove hanno perso la vita 11 operatori pastorali (otto sacerdoti, un religioso, due laici), cui segue l’Africa, dove sono caduti 10 operatori pastorali (quattro sacerdoti, una religiosa, cinque laici), mentre in Asia sono stati uccisi due operatori pastorali (un sacerdote, un laico). Dal 2000 al 2016, sempre secondo Fides, sono stati uccisi nel mondo 424 operatori pastorali, di cui cinque vescovi.

Il computo dell’autorevole agenzia missionaria, comunque, ha un significato estensivo. Ormai da tempo, esso non riguarda solo i missionari ad gentes in senso stretto, ma include nell’elenco tutti gli operatori pastorali morti in modo violento, di cui si è avuta notizia, anche non espressamente "in odio alla fede". Molti di loro sono stati uccisi durante tentativi di rapina o di furto, compiuti anche con ferocia, in contesti di grande esclusione sociale e culturale, di degrado morale e ambientale, dove violenze, vessazioni e sopraffazioni d’ogni genere sono assurte a regola di comportamento, in flagrante violazione del sacrosanto diritto alla vita e, in termini generali, dei diritti umani.

È evidente, comunque, che riuscire a monitorare a livello planetario il numero dei missionari caduti nel pieno adempimento della loro vocazione, non è facile. Infatti, agli elenchi stilati annualmente dall’agenzia Fides, deve sempre essere aggiunta la lunga lista dei tanti, di cui forse non si avrà mai notizia o di cui non si conoscerà neppure il nome, che in ogni angolo del pianeta soffrono e pagano con la vita la loro fede in Gesù Cristo, morto e risorto.

Quest’anno, peraltro, vi è una felice coincidenza. La Giornata dei missionari martiri cade di sabato, nella vigilia della Domenica delle Palme, introducendo al mistero della passione di Nostro Signore e alla Pasqua. E se la domanda fondamentale, che interpella ognuno di noi, è quella riguardante il senso e il significato del martirio e delle persecuzioni che attanagliano, ancora oggi, molte comunità, i nostri missionari e missionarie, con il loro esempio, ci aiutano a cogliere un mistero che ci sovrasta, quello dell’ultima beatitudine, così come la leggiamo nel libro dell’Apocalisse: «Beati fin d’ora i morti che muoiono nel Signore. Sì, dice lo Spirito, riposeranno dalle loro fatiche, perché le loro opere li seguono» (14,13). La morte, dunque, come pienezza di vita in un mondo, 'villaggio globale', che ha decisamente bisogno di redenzione.

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