È questione di fiducia
sabato 30 marzo 2019

A muovere e regolare l’economia in fin dei conti è la fiducia. Lo è per il paradigma classico, fondato sullo scambio degli equivalenti di Adam Smith, in cui ci si fida che per una merce o un servizio venga corrisposto il giusto prezzo, scambiata cioè una moneta il cui valore intrinseco è determinato dalla fiducia collettiva nell’adeguata corrispondenza di quel bene simbolico. E la fiducia è addirittura un moltiplicatore nel paradigma dell’Economia civile, il cui Festival è in corso di svolgimento a Firenze, che ai princìpi classici – scambio degli equivalenti e redistribuzione – ne aggiunge un terzo: la reciprocità, algebra economica in cui “1 + 1 fa 3”, perché c’è una ricchezza aggiuntiva generata dalla cooperazione.

L’indice di fiducia è del resto uno degli strumenti statistici più utilizzati per anticipare l’andamento della crescita economica: quando famiglie e imprese non si fidano, investono e consumano di meno. O non investono affatto, determinando una contrazione dell’attività economica e quindi dell’occupazione. Tre ricercatori americani (Davidson, Novak e Potts), in scia agli studi dei premi Nobel Ronald Coase e Oliver Hart, hanno addirittura provato a quantificarne il valore complessivo: la fiducia per gli Stati Uniti varrebbe 29mila miliardi di dollari.

Un ruolo determinante nella filiera della fiducia è per certo quello delle banche – le quali erogano “credito”, un sinonimo – e soprattutto delle Banche centrali, la cui missione prima è garantire la fiducia nella moneta.

Ebbene, il nostro Paese sta attraversando un pericoloso deficit di fiducia. Con conseguente crollo degli investimenti e rialzo del costo del credito. Se questa mancanza si traducesse in un vero e proprio vuoto di fiducia, allora ci schianteremmo. Quello che chiamiamo spread misura esattamente la fiducia dei mercati nella nostra capacità di restituire i soldi chiesti in prestito agli investitori, piccoli e grandi. Il timore dei prestatori, piccoli e grandi, italiani e stranieri, è che l’aumento del nostro debito pubblico, già enorme, sia oramai fuori controllo.

Ma dove non c’è stabilità finanziaria purtroppo non c’è crescita, perché il costo degli interessi sul debito sballa ulteriormente i conti pubblici e ha un impatto negativo diretto sull’economia reale. Un circolo vizioso. E senza crescita, a partire da quella della fiducia, non si dà nemmeno stabilità sociale.

L’affidabilità di un sistema complesso quale è un’economia avanzata – inserita per altro nel contesto di un’unione monetaria, a sua volta parte di un ordine globale di scambi – è affidata a una suddivisione dei compiti in cui ciascuno faccia bene il proprio mestiere. La confusione genera infatti sfiducia.

Oltre alla canonica ripartizione dei poteri, un ruolo cruciale per garantire l’equilibrio democratico lo giocano le autorità indipendenti (soprattutto dalla politica). Nella lettera che ha inviato ieri ai presidenti delle Camere sulla Commissione d’inchiesta per le banche, il capo dello Stato Sergio Mattarella ha ribadito questo concetto fissando due limiti. In primo luogo, ha ricordato che né le banche centrali nazionali né, tantomeno, la Banca centrale europea possono sollecitare o accettare istruzioni dai governo o da qualsiasi altro organismo degli Stati membri. E ciò vale anche per fantomatiche vendite delle riserve auree di Bankitalia – quelle complessive hanno per altro permesso di girare quest’anno al Tesoro profitti per ben 5,7 miliardi – o per ipotetiche acquisizioni di sovranità monetaria. Acquisizioni che, di fatto, porterebbero l’Italia fuori dall’euro. Il timore che ciò possa accadere, il Quirinale ne ha piena contezza, è stato lo scorso anno un micidiale vettore di sfiducia nel Paese.

Il presidente Mattarella ha ricordato inoltre che il Parlamento – non il governo – è sempre sovrano, ma non può per questo controllare l’attività creditizia. La Commissione d’inchiesta, quindi, non deve in alcun modo sovrapporsi all’esercizio dei compiti propri di Bankitalia e Consob. Ciò minerebbe l’autorevolezza delle Autorità indipendenti generando confusione e, di conseguenza, sfiducia nell’assetto istituzionale. Mattarella è intervenuto ancora una volta come “garante della fiducia”, dopo averlo fatto in ambito diplomatico (per i contrasti con la Francia) e geopolitico (per la firma del Memorandum sulla Via della Seta). Prima di muovere l’economia, del resto, la fiducia alimenta gli equilibri costituzionali e aiuta a costituire il “capitale sociale”, forse l’unico che un Paese può investire per il suo futuro.

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