mercoledì 25 maggio 2011
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L’Italia è il Paese al mondo con il più alto tasso di giovani che scelgono i licei. Siamo giunti al 50%. Negli altri Paesi oscilla tra il 20 e il 30%. Il resto opta per la formazione "vocazionale", cioè per quella professionale. L’Italia è anche l’unica nazione al mondo nella quale si accede all’istruzione terziaria con almeno 13 anni di studio. "Almeno" perché il 27% dei diplomati è in ritardo, per cui la durata del percorso preuniversitario si allunga talvolta anche di due anni. In tutti gli altri Paesi del mondo, la durata degli studi pre-terziari è di 11 o massimo di 12 anni.L’Italia, finora, è anche l’unico Paese nel quale tutta l’istruzione terziaria è composta soltanto dall’università. Dalla Germania alla Corea, infatti, dopo la scuola secondaria, peraltro più breve della nostra, esiste una pluralità di percorsi terziari. C’è l’università. Ma ci sono anche parecchi corsi brevi (due anni), medi (tre) o lunghi (quattro) che potremmo chiamare di formazione tecnico-professionale superiore. Naturale, a questo punto, che l’Italia abbia la più bassa percentuale di giovani con un titolo di studio terziario. E allo stesso tempo che abbia il numero più alto di laureati che restano disoccupati e sotto occupati, quando molte figure tecnico-professionali e artigiane di alto profilo restano del tutto scoperte.Questi primati negativi hanno radici lontane. Cominciano almeno dagli anni Trenta del Novecento, quando il fascismo eliminò la ricca serie di istituti superiori post secondari molto legati ai territori (enti locali, camere di commercio, parti sociali) che perfezionavano la formazione tecnico-professionale secondaria. Li trasformò tutti in facoltà universitarie statali. Nacquero Chimica, Magistero, Agraria, Economia e Commercio, Veterinaria e Ingegneria. Negli stessi anni, fu sconfitta la scelta di Giovanni Gentile (1923) di mantenere l’istruzione liceale su percentuali più vicine a quelle di tutti gli altri Paesi, industrializzati e no. Si allargarono a poco a poco le maglie della proverbiale severità di queste scuole e si avviò quel processo che oggi ci ha portato al 50% di una generazione che si iscrive al liceo più per "distinzione sociale" che per "vocazione culturale". Ma la cosa grave non fu tanto questa. Fu che questi processi, con un’accelerazione progressiva a partire dagli anni Settanta del secolo scorso, crebbero in maniera quasi direttamente proporzionale alla perdita di prestigio culturale e sociale dell’istruzione tecnico-professionale. Fino all’assurdo di fine secolo, quando, nel mainstream nazionale, si naturalizzò la seguente misconcezione: gli "ottimo" si iscrivono ai licei, i "distinto" e i "buono" ai tecnici, i "sufficiente" ai professionali, i "non sufficiente" (ripetenti) alla formazione professionale regionale e gli "inadatti agli studi" o "disadattati" vanno a lavorare con l’apprendistato. In pratica, chi studia non lavora e chi lavora lo fa perché non riesce a studiare. Una situazione che provoca dissipazioni umane, intellettuali ed economiche intollerabili. Per questo si sta sempre più comprendendo che, se licei, istituti tecnici e professionali, di istruzione e formazione professionale regionale e apprendistato, non solo diventano percorsi formativi di pari dignità, ma vengono anche percepiti tali dalle famiglie e dagli allievi non raggiungeremo mai quell’80% di giovani con titoli di studio secondari e quel 40% con titoli di studio terziari che ci chiede l’Ue per il 2020.Per questo, vanno visti con molto favore tutti gli interventi volti a riaccreditare il valore dell’istruzione tecnica e professionale quinquennale; a dare finalmente vigore al sistema dell’istruzione e formazione professionale regionale che prevede la qualifica a 17 anni, il diploma secondario a 18, diplomi superiori tra 18 e 20; ad attribuire all’apprendistato il carattere di un vero e proprio sistema graduale e continuo per acquisire qualifiche, diplomi, diplomi superiori, lauree e dottorati (come accade in tutti gli altri Paesi); infine, ad avviare gli Istituti Tecnici Superiori statali, in connessione con gli Ifts regionali, a fianco dei percorsi universitari.
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