venerdì 23 gennaio 2015
COMMENTA E CONDIVIDI
​Fratelli nel segno dell’acqua, della Parola, del sangue. Legati insieme dal Battesimo, dalla stessa Buona Notizia, dal sacrificio che diventa sorgente di vita nuova. La Settimana di preghiera per l’unità che stiamo vivendo, ci ricorda che i cristiani sono un’unica famiglia, spesso litigiosa e divisa ma guidata, se si è disposti ad ascoltarlo, dallo Spirito. Negli abissi più profondi del cuore dell’uomo, come agli estremi confini della terra, là dove credere in Gesù è sinonimo di persecuzione, dolore, morte. È l’ecumenismo della sofferenza, è l’ecumenismo dei martiri.Uomini e donne che non cercano la morte, tantomeno vogliono procurarla agli altri, ma sono disposti a sacrificare la vita in nome di qualcosa di ancora più grande, l’amore per gli ultimi, per la verità, per il Padre di tutti. È la testimonianza di pastori come don Pino Puglisi, come l’arcivescovo Romero. È il sacrificio dei cristiani semplici, ostaggi dell’orrore di Boko Haram in Nigeria piuttosto che in Camerun, del califfato del terrore in Medio Oriente, di assurde accuse di blasfemia in Pakistan, del sentimento religioso tradito in Niger. Cristiani oltre le barriere confessionali. Patrimonio comune di cattolici, ortodossi, anglicani e protestanti perché, come diceva Tertulliano, il sangue dei martiri è seme di nuovi cristiani.E su quella linfa, fatta di dolore e offerta di sé, può nascere una famiglia capace di vivere la diversità come ricchezza, di lavorare per riconciliare le divisioni, di usare l’alfabeto dell’amore. Nelle grandi scelte, come nei gesti semplici, frutto di un cuore libero, aperto all’incontro. Lo sottolinea bene il tema della Settimana: "Dammi da bere" che esprime insieme un bisogno primario e una richiesta di vita, di condivisione. Come noto il passo del Vangelo di Giovanni racconta l’incontro tra Gesù e una donna al pozzo di Sicar. Un giudeo e una samaritana, popoli uniti dalla stessa radice eppure divisi, storicamente ostili. Cristo è il "forestiero" accaldato e stanco che chiede aiuto a una potenziale nemica mentre si trova nella sua terra, dove deve passare. Entrambi sono consapevoli della propria identità e di quel che comporta, perché solo sapendo chi siamo noi e chi è l’altro, si può accettare la diversità senza viverla come una minaccia. Perché Gesù rimane se stesso anche dopo aver bevuto quell’acqua così come, pur cambiata, resta samaritana chi gliel’ha offerta.La richiesta di acqua è al tempo stesso un invito ad offrirne della nostra e ad assaporare quella altrui. È la consapevolezza che la diversità può diventare ricchezza reciproca, la presa d’atto che il dialogo autentico ci può trasformare. Dopo l’incontro con Gesù la donna al pozzo infatti non è più la stessa, parlare con il Signore ne ha fatto, per così dire, una missionaria presso il suo popolo. Allo stesso modo, il cammino di conversione, di ricomposizione delle differenze cresce nella misura in cui le diverse comunità cristiane si avvicinano alla fonte, all’origine comune della loro fede. Lo ha ricordato ieri il Papa a una delegazione ecumenica finlandese, sottolineando la necessità di una testimonianza condivisa davanti «alla diffidenza, all’insicurezza, alle persecuzioni e alle sofferenze sperimentate da tante persone».Ecco allora l’importanza del confronto teologico, della chiarezza sulle rispettive posizioni, senza però che questo escluda la testimonianza personale, nel solco di quella «cultura dell’incontro» tanto cara a Francesco. L’ecumenismo ha bisogno di specialisti certo ma al tempo stesso non può fare a meno del rapporto umano diretto, che vede nell’altro più che il simbolo delle divisioni, un fratello e una sorella. Per riuscirci c’è bisogno di umana pazienza e del benevolo pregiudizio della simpatia, "purificata", se così si può dire, dal balsamo della preghiera. Che è la chiave per aprire il cuore all’ascolto dello Spirito, per imparare a seguirlo lungo il cammino verso la piena comunione. Nel segno dell’acqua, della Parola, del sangue.
© Riproduzione riservata
COMMENTA E CONDIVIDI

ARGOMENTI: