Il militare israeliano che ha ucciso un nemico
venerdì 6 gennaio 2017

Il militare israeliano che ha ucciso un nemico ferito Un soldato israeliano uccide un terrorista, già ferito e moribondo, e per questo riceve un encomio dal premier, ma una condanna dal tribunale. Dunque, la morale politica e militare lo premia, ma la giustizia lo punisce. È un problema terribile, antico quanto l’umanità: puoi uccidere il nemico ferito e morente davanti a te? Sì, risponde l’Iliade, otto secoli prima di Cristo: Achille finisce a colpi di lancia Ettore, quando ormai gli giace ai piedi.

Sì, rispondeva ieri il premier israeliano, pronunciandosi sul suo soldato che ha finito con un colpo di fucile un terrorista palestinese già stramazzato sul pavimento. Questo episodio ha tutti i caratteri di un’azione estrema: il nemico a terra è certamente un tuo nemico, perché ha colpito con un coltello uomini della tua gente; ma ha un coltello, non un’arma da fuoco, ed è stato raggiunto da alcuni proiettili, sta morendo, lo puoi bloccare e portar via quando vuoi: allora perché sparargli in testa? È ancora un’azione di guerra, o è un volgare omicidio? Quello che spara è un soldato, o un assassino? L’azione è di un anno fa, ma l’altro ieri il soldato è stato processato e condannato. L’opinione pubblica protesta. Il capo dello Stato, invitato a dare la grazia, non dice di no, dice soltanto che è troppo presto. Prima di scandalizzarci per queste opinioni e condannarle, ricordiamoci che Israele ha nemici intorno e dentro, che hanno come scopo di ogni giornata ammazzare qualche ebreo, ovunque lo incontrino, di qualunque età o sesso, e qualunque cosa stia facendo.

Questo soldato israeliano che ammazza un nemico che sta già morendo per conto suo, non c’interessa in quanto israeliano, ma in quanto soldato. Lui e tutti quelli che manifestano per lui applicano il principio dell’«uccidi il tuo nemico, prima che lui uccida te». Nel film Full Metal Jacket di Stanley Kubrick, i marines recitano a memoria questa massima, è il loro comandamento numero 1. La massima sta dentro la «preghiera del fucile», e i marines di Kubrick vanno a letto col fucile, lo tengono al proprio fianco, e prima di addormentarsi recitano a lui quella preghiera, come il bambino recita la sua all’angelo custode. «Sparare per primo» è la regola principale per il soldato. Se spara per primo, vive. Se aspetta che prima gli spari l’altro, muore. Si dirà che questa è una regola del tempo di guerra, e per i Paesi in guerra, e che in tempo di pace non vale.

Ma non è vero: ogni Stato ha i suoi luoghi segreti e vigilati, caserme, aeroporti, arsenali, missili, e ogni notte sul perimetro di questi luoghi vigilano sentinelle armate: se s’avvicina qualcuno di sospetto, la consegna è di sparare prima in aria, poi a terra, e infine addosso. Ma le cose non vanno così: in tutti gli eserciti del mondo la raccomandazione dell’ufficiale al soldato è, se si vede aggredito, di sparare prima addosso, e poi in aria e per terra. Se viene un controllo, può controllare solo se dal caricatore mancano tre colpi, e non in che direzione sono andati. La guerra disumanizza l’umanità. Cancella la morale della convivenza. Il nemico applica il principio. 'Muori tu e viva io'. Il soldato risponde con lo stesso principio: 'Che io viva e che tu muoia'.

Il principio 'che viviamo tutt’e due' in guerra è abolito. Gli Stati europei più meritevoli mandano in giro per il mondo i cosiddetti 'soldati di pace', ma non è che per i soldati di pace il principio cambi: il nemico è cattivo, per ridurlo all’impotenza devi essere cattivo anche tu. È coerente con la morale della guerra totale (anche se in contrasto con la morale umana) il principio 'niente prigionieri'. Per la morale umana, un soldato che uccide un nemico impotente va condannato (perché è impotente), per la morale militare va premiato (perché è un nemico). La Giustizia che condanna questo soldato fa il suo lavoro. L’esercito e la politica che lo premiano fanno il loro lavoro. L’umanità ha bisogno del primo lavoro.

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