Rifiuti ed ecoreati, da Sud a Nord
venerdì 5 gennaio 2018

Fiamme e rifiuti. Ancora una volta. Non in Campania, ma al Nord. Non bruciano rifiuti abbandonati nelle campagne, ma impianti di smaltimento e trattamento. Più di 260 negli ultimi anni, come rivela la Relazione della Commissione parlamentare d’inchiesta sulle attività illecite connesse al ciclo dei rifiuti (il primo monitoraggio su questo fenomeno, gravissimo e in crescita), ben il 40% al Nord.
L’ultimo episodio nella serata di mercoledì a Corteolona nel Pavese, un capannone pieno di scarti di plastica. Impianto non autorizzato, hanno assicurato ieri in Prefettura, eppure, come hanno raccontato alcuni cittadini, da mesi i camion venivano qui a scaricare. Qualcuno ha denunciato? Qualcuno ha controllato? Uno scenario che, per certi versi, ricorda il dramma del territorio tra Napoli e Caserta. Dove per decenni camion con rifiuti industriali provenienti dal Nord hanno scaricato quasi indisturbati. Ora i rifiuti restano al Nord o, addirittura, qui arrivano da altre regioni, Sud compreso.

Ma la camorra non c’entra. Non sono boss del calibro di Bidognetti, Schiavone, Iovine e Zagaria a controllare l’affare dello smaltimento illecito. Davanti ai loro "solidi" argomenti troppi concludevano di non poter dire di no. Con loro facevano affari gli industriali del Nord, imprenditori smaltitori (si fa per dire...) e politici collusi. Nella "terra dei fuochi" o, meglio, nella "terra degli incendi" nordica, i boss delle cosche non ci sono, ma resta un’economia criminale, "deviata". Quella degli industriali che provano sempre a risparmiare sullo smaltimento dei propri scarti, truccando così il mercato. Ma soprattutto quella di imprenditori dei rifiuti che hanno capito per tempo che si fanno molti più soldi con gli impianti di trattamento che con le discariche.

Così gli impianti in questi territori sono cresciuti a dismisura, mentre in altri ce ne sono troppo pochi. Se la filiera dei rifiuti non è completa a guadagnarci sono solo furbi e criminali. Così le "non scelte" favoriscono la migrazioni dei rifiuti, come i ben noti casi di Napoli e Roma, con costi molto più alti. Ma provocano anche un lotta per accaparrarsi il ricco affare.

Così nel settore sono entrati imprenditori impreparati, ma anche borderline, zona grigia. E sono ricomparsi personaggi già coinvolti nel passato in vicende giudiziarie. Vanno dove ora si fanno più soldi, portando il loro curriculum criminale. Non è un caso che su un terzo degli incendi siano ancora aperte le inchieste della magistratura. Perché il fuoco è molto utile per distruggere le prove di altri reati. E in questo le "terre dei fuochi" sono davvero tutte uguali. Così come è uguale l’aria inquinata che si respira, a Caivano o nel Pavese o nel Bresciano, e gli incrementi anomali di malattie tumorali e croniche.

Già alcune inchieste, a partire da quelle molto importanti della Procura di Brescia, stanno facendo emergere questi intrecci di economia criminale. Una delle imprese toscane finite nell’operazione della Dda di Firenze a metà dicembre (quella dell’intercettazione con la frase choc «che muoiano i bambini, non mi importa che si sentano male») aveva avuto ben tre incendi. Ora gli imprenditori sono in carcere e gli impianti sotto sequestro, grazie anche alla preziosissima norma sugli ecoreati approvata finalmente più di due anni fa. Ma ancora una volta tocca alla magistratura intervenire. A danni già provocati. Dopo inquinamenti o incendi. Ma chi deve controllare?

«Possibile che sia sempre un’indagine penale a intervenire per verificare la sussistenza di illegalità nella gestione di attività fondamentali anche per la salute? Ma i controlli sono previsti? E chi li deve fare li ha fatti? No, evidentemente, perché se li avesse fatti avrebbe rilevato le illegalità», ci aveva detto il procuratore nazionale antimafia Federico Cafiero de Raho, in occasione dell’ultima inchiesta come capo della procura di Reggio Calabria, proprio sul traffico di rifiuti tra Calabria e Sicilia. Ma se i controlli sulle autorizzazioni ambientali si fanno una volta ogni dieci anni è come dire 'fate pure'. È un invito all’illegalità. Vuol dire chiudere tutti e due gli occhi. Purtroppo gli incendi degli impianti ci confermano che questo vale ovunque. E non è certo 'mal comune mezzo gaudio'.

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