martedì 17 febbraio 2009
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Da dove può emergere un nuovo ordine mondiale per l’economia globalizzata, quella che in pochi secondi sposta cifre astro­nomiche da un capo all’altro del Pianeta e, con la stessa rapidità, può fare evaporare miliardi di dollari dalle Borse, condannando al fallimento aziende e mettendo sul lastrico lavoratori e ri­sparmiatori? Alla domanda – la più alta, la più impegnativa, ma per alcuni aspetti anche la più retorica – sono chiamati a dare risposta in quat­tro mesi gli esperti del G7, dopo l’impegno sot­toscritto sabato a Roma dai leader delle nazio­ni più industrializzate. «Una sfida affascinante, tecnicamente, moral­mente e politicamente», l’ha definita il ministro dell’Economia Giulio Tremonti. «Bisogna pre­parare qualcosa di simile a nuova Bretton Woods», gli ha fatto eco l’ex premier Romano Prodi, richiamando il grande accordo moneta­rio che nell’immediato dopoguerra garantì sta­bilità e favorì la strabiliante crescita dei decen­ni postbellici. La crisi di oggi – forse la più gra­ve dal 1929 – sembra mettere tutti d’accordo sul­la necessità di una ripartenza, con nuove rego­le e rinvigoriti afflati etici. Che qualcosa non abbia funzionato nella fi­nanza liberista degli ultimi anni, che esista at­tualmente un deficit di fiducia dovuto agli ec­cessi del passato, che gli stessi meccanismi del mercato siano rimasti vittime di un grippaggio sono constatazioni ampiamente condivise. Quando, però, si tratta di guardare avanti e di scrivere norme diverse ci si scontra con la dif­ficoltà di passare dalle enunciazioni di prin­cipio alle concrete mi­sure operative. Al ca­pezzale del malato tut­ti sono grandi dottori, se tuttavia bisogna in­cidere il bisturi nel tu­more le mani comin­ciano a tremare. Non tremava, invece, la penna del Papa quando ha vergato il suo Messaggio per la giornata mondiale della pace 2009, né erano esitanti gli estensori della Nota della Santa Sede su finanza e svilup­po, redatta dal Pontificio consiglio della Giusti­zia e della Pace nello scorso novembre. Basta ri­durre i compensi astronomici dei top manager, misura moralizzatrice di cui molto si parla di qua e di là dell’Atlantico? Non pare proprio. Nel minuscolo Stato Vaticano non risiedono ban­chieri centrali né economisti di vaglia interna­zionale; eppure, in quei due documenti è distil­lata un’incisiva saggezza antropologica coniu­gata con un realismo che non fa sconti alla drammaticità del momento. Benedetto XVI evidenzia i «contraccolpi nega­tivi di un sistema di scambi finanziari basati su una logica di brevissimo termine, che persegue l’incremento del valore delle attività e si con­centra nella gestione tecnica delle diverse for­me di rischio». L’analisi di Iustitia et Pax, dal can­to suo, sottolinea «l’orizzonte temporale degli o­peratori appiattito sul presente» e il ruolo deci­sivo dei mercati 'offshore', paradisi fiscali sen­za controlli, in cui sarebbero 'spariti' 860 mi­liardi di dollari l’anno, con una sottrazione di gettito per le casse pubbliche di 255 miliardi. Ebbene, bastano poche frasi, tratte da articola­ti documenti, per capire che se l’obiettivo è quel­lo di costruire un sistema economico solido, che guardi allo sviluppo corretto e integrale, senza sfruttare o escludere intere aree della Terra, non si può pretendere di avere tutto. Non è cioè pos­sibile continuare a servirsi di quegli strumenti finanziari ad altissima pericolosità potenziale che hanno alimentato il boom recente e, nello stesso tempo, chiedere etica e regole severe; non pare praticabile ridisegnare i confini di ciò che è saggio e lecito e aspettarsi credito facile e a buon mercato come se nulla fosse accaduto. Certo, non vi è nessun obbligo di disegnare un nuovo ordine planetario. Ma quando si lancia un proclama di quel genere sarebbe meglio speci­ficare che «nessun pasto è gratis», come ripete­va Milton Friedman, proprio uno dei guru del liberismo. Per un mondo meno soggetto alle tempeste e una globalizzazione più giusta – il Pa­pa l’ha detto con chiarezza –, c’è un prezzo da pagare. Per top manager e comuni cittadini, a­zionisti e lavoratori, seppure in diversa propor­zione. Un costo, che a nostro avviso, vale la pe­na di sopportare.
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