mercoledì 29 luglio 2009
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Il troppo è troppo, anche per il mago dei computer: assillato dalle richieste di sconosciuti che volevano diventare suoi amici, Bill Gates si è ritirato da 'Facebook', la rete sociale più popolare, che pochi giorni fa ha superato i 250 milioni di iscritti. Ormai sono molte le persone che si sentono 'iper-irretiti', cioè ostaggi di Internet, in particolare dei social network. A questo punto conviene fare alcune considerazioni. In primo luogo la tecnologia della comunicazione penetra in profondità nelle nostre abitudini e nel modo stesso in cui vediamo il mondo. Ma la cosa più importante è che l’uso degli strumenti informatici comporta un investimento di tempo e poiché il tempo è una risorsa limitata e irrecuperabile dobbiamo decidere se vivere una vita reale, intessuta di rapporti umani, con tutti i problemi e le gioie che ciò comporta, oppure se rifugiarci nella virtualità facile e accattivante della Rete, che, moltiplicando le nostre identità possibili, ci dà l’illusione di essere uno e centomila. Poi la facilitazione dei rapporti comunicativi offerta dalla Rete comporta una sorta di assuefazione e una spinta compulsiva alla sfrenatezza cui è difficile sottrarsi. Basta pensare alle piccole crisi di astinenza che sperimentiamo quando per qualche ora non possiamo controllare la posta elettronica... Non voglio certo negare gli enormi vantaggi della comunicazione elettronica: immediatezza dello scambio, costo praticamente nullo, allargamento senza limiti del numero dei corrispondenti, per non parlare dell’accesso istantaneo al Web, la più vasta enciclopedia concepibile. Ma proprio questi benefici possono trasformarsi in svantaggi: la perdita dei filtri tradizionali, dovuti essenzialmente al costo, fa sì che chiunque possa esprimere qualunque cosa, dai pensieri più raffinati ai borborigmi mentali più inconsistenti: in rete il rumore di fondo è elevatissimo. In terzo luogo, le innovazioni si susseguono incalzanti e l’offerta supera di gran lunga la domanda, inducendo bisogni artificiali che subito diventano essenziali per poi, spesso, rivelarsi illusori e delusori, ma lasciando comunque una traccia e magari una nostalgia nelle abitudini quotidiane di vaste moltitudini. Ma gli entusiasmi che le innovazioni accendono sono sempre più marginali e, con l’uso prolungato, si trasformano in fiacche spinte gregarie e imitative. Vige infatti una sorta di legge di Weber e Fechner psicologica: per produrre lo stesso effetto lo stimolo deve crescere e quindi per appassionare i dispositivi devono essere sempre più mirabolanti, mentre le grandi invenzioni sono rare anche perché si susseguono piccoli miglioramenti incrementali e modeste variazioni sul tema che impediscono i grandi salti. Insomma se è vero che le reti sociali rappresentano un’importante conquista democratica e liberatoria, è anche vero che quando l’accesso si trasforma in eccesso esse diventano rapidamente tossiche. Anche Eric Schmidt, amministratore delegato di Google, esorta a spegnere computer e cellulari rinunciando alla comunicazione virtuale e dis­locata per riscoprire le persone che ci stanno accanto. Non bisogna tuttavia dimenticare che prima di convertirsi Bill Gates ed Eric Schmidt si sono immersi nella Rete fino al midollo. Secondo lo psicologo di Harvard George Vaillant, ciò che conta nella vita sono i rapporti con gli altri; ma spesso tali rapporti sono velenosi se non assenti: allora forse è meglio crearsi un’identità appagante e presentarsi (su Facebook) a una marea di 'amici' sconosciuti. Fino a capire, e ha ricambiare orizzonte.
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