Quando i figli non tornano
domenica 29 gennaio 2023

Flavia compiva 17 anni. Si era messa un vestito nuovo, forse era stata a lungo allo specchio, il rossetto sulle fresche labbra, il mascara sulle ciglia. La madre magari l’aveva abbracciata mentre usciva per festeggiare il compleanno, commossa: la sua bambina, una donna.

Flavia, non è tornata. Né lei né i suoi amici Valerio, Alessio, Simone, né la sua amica Giulia. Tutti tra i 21 e i 17 anni. A notte fonda sulla Nomentana, come una bomba: la 500 che impazzisce, carambola, sfascia un palo, urta un albero. Sveglia di colpo, si affaccia la gente dai balconi, qualcuno corre giù in strada. Un silenzio terribile dall’utilitaria contorta. Poi un gemito: un sesto passeggero, è ferito gravemente. (Era stato un gioco, salire in sei su una 500, ammassarsi ridendo, felici in una notte di festa?).

Gli altri, tutti morti. Flavia con i suoi 17 anni. E i suoi amici. Via assieme, in un istante. Notte di ambulanze che traversano Roma addormentata inutilmente, in sirena, e giunte sul posto la spengono. In quelle case invece, verso le due forse, si cominciava ad aspettare. «Al massimo le due e mezza», si erano fatti promettere i genitori.

Una madre dal sonno leggero si sveglia, le tre: si alza, il figlio non è tornato. Le tre e mezza, si incrociano le chiamate sui cellulari: il tuo è a casa? Il mio non ancora. Interminabile, tragica notte in cinque case di Roma, le lancette dell’orologio in cucina che avanzano lentamente, nessun passo dalla strada, nessuno che sale le scale. È orrenda l’alba tarda di gennaio, con la sua luce fredda e una Volante che si ferma, degli agenti che suonano al citofono. Quelle grida di strazio, in cinque case di Roma. Nelle case dei figli che non tornano. Quante, ce ne sono. Ieri in una metropoli in pace, per un tragico incidente. Ma quante ce ne sono nei Paesi in guerra. In Ucraina, come in Russia.

Decine di migliaia di madri e padri cui forse solo un telegramma comunica: suo figlio è caduto al fronte. O, magari, nemmeno quello. In Russia migliaia di famiglie non sanno più niente da mesi dei figli, partiti soldati a vent’anni. Più niente. Come se il Governo fosse un Moloch che non registra nemmeno la perdita di un’insignificante recluta. Che importa? Ce ne sono tante. Nelle case dei figli che non tornano, in pace e in guerra, le ore si somigliano. Quella cameretta vuota con il poster dei Maneskin, con la coppa vinta a pallavolo. Le foto delle estati, e con gli amici.

Libri di scuola, un pc di cui si ignora la password. È impossibile, non può essere vero, si dicono quelle madri, quei padri: è un incubo, ora ci sveglieremo. Ma non si svegliano. Il dolore gli si deposita addosso come cemento. Qualcuno, incauto, apre la scatola delle foto in cui quei figli erano bambini – appena ieri. E qui lo strazio si fa insostenibile. In chi ha fede può aprirsi, lacerante, il dubbio: ma tu, Dio, dov’eri? In chi non crede in niente, l’annichilimento. In qualcuno, forse, come svegliata dall’atroce schiaffo, una domanda che si riaffaccia, dopo tanto tempo. Nelle case dei figli che non tornano qualcuno torna a pregare, con cocciuta, ostinatissima fede. Altri chiudono le imposte, si rifugiano nel sonno, smettono di uscire. Ogni cosa ti ricorda lui. La sua stanza, ma anche il bar degli amici, e la sua scuola. A Roma, due notti fa, cinque, andati via insieme. Ma quanti, ci pensate, quanti tra Kiev e Mariupol e Kherson, bambini anche, sepolti fra le macerie. Quanti, nelle più sperdute province dell’ex impero sovietico – dove il Cremlino recluta all’ingrosso ciò che ritiene carne da cannone.

La tragedia della Nomentana ci apre lo sguardo sulle mille e mille case dell’Est dove una stanza rimane vuota. Intatta, lo stesso copriletto, il pigiama ancora sotto il cuscino. Non si osa toccare niente. Non si osa quasi entrare. C’è in tutte quelle case, vicine e lontane, una voragine di dolore. Umanamente, niente può colmarla. (Se toccasse a me, mio Dio, ti chiedi? Potrei solo forse dormire, dormire, scappare nel sonno, dove quel figlio vive ancora). O invece, ci si può aggrappare alla Madonna. Lei ha visto suo figlio morire sulla Croce (« Anche a te una spada trafiggerà l’anima», aveva annunciato Simeone). Aggrapparsi a Maria: lei sa, lei ha provato. Pensate al Duomo di Parma, a quella Deposizione di Benedetto Antelami con la Madonna che si tiene sulla guancia la mano di Cristo morto, in un’ultima carezza. La sola carezza vera, nelle case dei figli che non tornano.

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