mercoledì 16 novembre 2011
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Globalizzazione dei mercati. Rivoluzione scientifico-tecnologica. Villaggio globale della "rete" che avvolge fin dai primi anni di vita ogni persona. Declino demografico dell’Occidente, e dell’Italia in particolare. Migrazioni dei popoli, e conseguenti società multietniche, con un’intensità che non ha uguali nella storia. Sono alcuni tratti del nostro tempo che, nel loro insieme, hanno rilanciato l’antico principio ermetico della complessità: «L’alto, il lontano e il separato sono anche e sempre allo stesso tempo il basso, il vicino e l’integrato».In questo contesto, il rapporto tradizionale tra le generazioni adulte e giovanili è venuto meno. La domanda di sapere da parte dei giovani e la richiesta di competenze da parte della società è cambiata in profondità. La ricerca di nuovi luoghi e paradigmi per la maturazione di personalità armoniche e integrate si è fatta più urgente. I sistemi scolastici mondiali, non solo il nostro, sono sottoposti a tensioni talmente radicali da far profetizzare a non pochi organismi internazionali noti per la loro moderazione che, nel prossimo ventennio, dovremo liquidare la scuola impostata così come l’abbiamo conosciuta.

In questo contesto, ci sono almeno quattro principi che sarebbe bene non dimenticare per affrontare le sfide che il tempo ci pone e, soprattutto, per cambiare una mentalità che si rivela sempre più inadatta a governarle.Il primo ridimensiona gli scenari che vagheggiano un futuro tecnologico da «post-umano». È vero il contrario: abbiamo bisogno di un ritorno alla centralità dell’io, di una maggiore autenticità e integralità dell’umano. Per dirla con Pascal, abbiamo bisogno di uomini veri, che nella loro vita diano testimonianza di non essere soltanto automi, o animali che sentono e con-sentono, o esseri razionali che calcolano, ma che rivendicano come propria, essenziale caratteristica la spiritualitas, l’antica personalitas. Questo significa, in sostanza, misurarsi anzitutto con la libertà di cercare, trovare e vivere il vero, il bene, il bello. E nondimeno fare i conti con la responsabilità di rispondere delle proprie scelte, pagando i propri errori senza volerli negare o scaricare sugli altri, e raccogliendo il premio per i propri meriti.Il secondo principio invita a costruire istituzioni educative che esaltino questo continuo esercizio della libertà e della responsabilità. In questo senso, ad esempio, scuole strutturalmente rigide, uniformi, monopolistiche, con itinerari formativi predeterminati uguali per tutti, attente più alle procedure amministrative che ai risultati qualitativi, alle funzioni più che alle persone, appaiono inadeguate ai tempi nuovi. Sul piano istituzionale, si deve affermare la libertà di scelta educativa vera (fino alle sue conseguenze economiche) e su quello organizzativo la flessibilità e personalizzazione dei percorsi di formazione. In fondo, è questa la traduzione della sussidiarietà in ambito educativo.Il terzo principio implica il superamento della «teoria dei due tempi». Siamo cresciuti convinti che esista un tempo della vita in cui ci si deve preparare a svolgere un lavoro e a esercitare la cittadinanza, e un altro tempo in cui si svolgerebbe la professione imparata e si vivrebbe la cittadinanza studiata. Questa convinzione non è più spendibile. In modi diversi, con equilibri e responsabilità diverse, infatti, il tempo della formazione, del lavoro e della cittadinanza devono convivere in ogni luogo e lungo tutto l’arco della vita, in alternanza.L’ultimo principio riguarda il lavoro. Finora si è manifestata scarsa considerazione, se non addirittura disprezzo, nei confronti del lavoro manuale e delle sue potenzialità culturali e formative. Secondo una mentalità ancora diffusa, esso è soltanto il segno di una sconfitta personale, destinato ai falliti dello studio. Se non si rovescerà quanto prima questa mentalità sarà difficile, se non impossibile, realizzare i tre principi precedenti e far capire che perfino al celebre Mit di Boston il motto non è solo mens, ma anche manus.

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