Politica industriale, le ricette possibili
sabato 13 luglio 2019

Nel nostro Paese in luogo di una politica industriale intesa come insieme di interventi nell’economia – indirizzati al sistema produttivo usando un adeguato ventaglio di strumentazioni – abbiamo registrato, nel corso del tempo, un mix di adattamento spontaneo da un lato, di assistenza o aiuto (finchè è stato possibile) da parte dello Stato e delle Regioni, dall’altro.

La casualità del mercato si è coniugata con una regolazione a posteriori. L’evoluzione di larga parte della struttura produttiva è apparsa di conseguenza di corto raggio, priva di una robusta intenzione strategica. Lo spazio per una politica industriale mirata ed efficace è stato nei fatti fortemente condizionato da politiche economiche generali al traino delle vicende congiunturali internazionali e,al tempo stesso incapaci di valorizzare pienamente i 'vitalismi locali'; politiche traguardate essenzialmente sul breve periodo e soprattutto carenti in termini di offerta ovvero di predisposizione e gestione di un insieme articolato di interventi sul versante reale dell’economia (localizzazione, qualità, quantità delle attività produttive, infrastrutture).

La problematicità di una parte non minimale del tessuto industriale può essere ricondotta a quattro ordini fattori. Il primo: la poca consonanza tra ricerca, innovazione, formazione e le diversificate esigenze della imprese. Il secondo: la scarsa interdipendenza all’interno della base produttiva, con la logica di rete e di filiera che non risulta particolarmente efficace, da un lato i grandi gruppi realizzano una parte considerevole del loro fatturato all’estero, dall’altro lato le piccole medie imprese, ancorché valide, non riescono a crescere. Il terzo: l’insufficienza dell’investimento industriale e conseguentemente la stagnazione dei livelli di produttività. Il quarto: l’inadeguatezza del dialogo sociale e il cattivo funzionamento del mercato del lavoro in termini di incontro tra domanda e offerta.

A partire da questi dati di fatto e facendo leva sui punti di forza e sulle eccellenze che ancora sussistono in non pochi settori occorre elaborare una manovra evolutiva finalizzata ad elevare la qualificazione e la competitività dell’industria attraverso un progetto condiviso, capace di mobilitare le forze vive del Paese, con un’attenzione particolare nei confronti dei giovani e delle donne. Per spezzare i molti circoli viziosi che ci caratterizzano occorre da un lato puntare decisamente e massicciamente sull’investimento e dall’altro realizzare consenso, fiducia, condivisione ovvero creare un ambiente favorevole all’industria, un ecosistema accogliente.

Nella prospettiva del consolidamento e sviluppo del sistema industriale nazionale, occorre in primo luogo puntare sulla crescita dimensionale delle imprese aumentando considerevolmente il numero di quelle medio-grandi. Al riguardo una percentuale della domanda pubblica potrebbe essere destinata a imprese innovative aiutandole nella fase di industrializzazione. In secondo luogo occorre rafforzare le forme di collaborazione e sinergia tra i grandi gruppi e i loro fornitori subordinando a ciò l’erogazione di incentivi e agevolazioni. In terzo luogo è indispensabile sviluppare la coesione territoriale assegnando alle Regioni ruoli di indirizzo e coordinamento.

A questo riguardo l’esperienza dei 'poli di competitività' francesi andrebbe attentamente valutata. In quarto luogo occorre aver chiare alcune priorità di intervento attraverso le quali passa il futuro dell’industria nazionale ed europea, come lo sviluppo delle tecnologie trasversali e di base applicabili a tutti i settori, nonché la transizione energetica nella prospettiva della green economy e dell’economia circolare. Sono ricette possibili per una politica industriale che non sia solo un inseguire a posteriori le tendenze del mercato o le necessità imposte dalla congiuntura. Rifletterci, tra governo e parti sociali, non sarebbe tempo sprecato.

Professore emerito Università di Genova

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