Notre-Dame, la gran ferita, la domanda
mercoledì 17 aprile 2019

Quando l’ho comprato, non sapevo neppure che fosse un libro così importante. Si intitola Notre-Dame of Paris: in inglese, esatto. Si presenta come «la biografia di una cattedrale» ed è uno dei testi più noti di Allan Temko, uno storico dell’architettura che lo pubblicò nel 1955, quando aveva poco più di trent’anni. Era nato a New York, aveva studiato con Jack Kerouac, presto sarebbe diventato un personaggio di Sulla strada.

A oltre mezzo secolo di distanza, il suo saggio è ancora considerato una buona introduzione alla storia della cattedrale che l’altra sera le fiamme hanno minacciato di distruggere. Da allora anch’io, come tutti, sono in cerca di una spiegazione. Come d’abitudine, ho provato a cercarla nei libri: in questo di Temko, per cominciare.

La mia copia è un po’ sdrucita e mi piacerebbe poter raccontare di averla acquistata da un bouquiniste sulla sponda della Senna, proprio davanti a Notre-Dame. Non è così. Sono incappato nel volume in un mercatino di Francoforte. Un’altra città devastata dal fuoco, un’altra capitale d’Europa, ma di quell’Europa mercatista e finanziaria che tanto volentieri contrapponiamo a Roma, ad Atene, a volte alla stessa Parigi. La complessità aumenta. Non basta che lo studio sulla più celebre cattedrale francese sia opera di un intellettuale statunitense, bisogna fare i conti anche con la Germania, con la Banca centrale europea, con lo spettro dello spread.

Meglio così, mi dico, mentre sfoglio il libro di Temko (a proposito: da dove verrà il cognome?) e mi imbatto nella riproduzione della guglia originale, andata distrutta già nel 1792 e poi rimpiazzata da quella che l’altra sera abbiamo visto avvampare e spezzarsi in diretta. In quei minuti un altro incendio imperversava, era il falò delle opinioni contrastanti e inappellabili. Su tutto, riguardo a tutto: la strategia che i pompieri avrebbero dovuto adottare, le colpe dell’Europa, l’evidenza di un significato letteralmente marchiato a fuoco sulla pelle d’Europa.

Sì, ma quale significato? Una delle principali caratteristiche dei simboli sta nel loro essere evidenti e insieme insondabili. 'Simbolo', in origine, è un pegno spezzato a metà. Ne teniamo una parte in tasca e dell’altra andiamo in cerca. Il simbolo non è pienezza, ma percezione del limite. Da qui il dovere dell’interpretazione, che non si esaurisce mai in uno schema, perché ogni schema mortifica la realtà. Nel Vangelo, non a caso, non si incontrano simboli, ma segni: opere e parole attraverso le quali Gesù entra nella nostra storia, si mescola a noi, porta a compimento il mistero dell’Incarnazione.

Anche la croce è un segno. Il segno per eccellenza, anzi: luogo di contraddizione e di salvezza. Meticoloso nel ricostruire le fasi di costruzione dell’edificio, il libro di Temko si conclude con un capitolo dedicato alla 'Passione di Notre-Dame'. Nel corso del tempo sono stati gli uomini, spiega l’autore, a danneggiare più gravemente la cattedrale. Un primo incendio si verifica già nel 1218, in seguito a un maldestro tentativo di furto.

E poi saccheggi, profanazioni, altro fuoco, altri guasti. Ogni volta Notre-Dame ha resistito, conservando e rafforzando il suo statuto di cattedrale di Francia, che neppure il tempio laico del Pantheon è riuscito a contrastare. Anche oggi, ferita e affumicata, la cattedrale si presenta come un segno dal quale lasciarsi interpellare. Un simbolo davanti al quale si esita, forse, ma questo è nella sua natura. Solo gli idoli, che non rappresentano altro che se stessi, ci dispensano dalla fatica dell’interpretazione.

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