giovedì 26 maggio 2011
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Si parla sempre più spesso di quanto sia urgente "civilizzare l’economia". Ma l’economia è inevitabilmente "civile". Perché si sviluppa tra gli uomini, è il prodotto di un fare, di un sentire comune. Per questo è moralmente buona quando è buona la società ed è moralmente riprovevole quando la società è immorale. L’imbarazzo talvolta risiede nel prendere nota che la società siamo noi. Nessuno escluso. E chi siamo adesso noi, oggi? Siamo italiani del 2011, piuttosto scontenti, piuttosto disorientati, piuttosto spaventati. Abbiamo sostituito le Istituzioni con una sola istituzione di prossimità: noi stessi. Un’indagine fatta a 10 anni di distanza ha visto un drastico cambiamento: nel 2000 si chiedeva agli italiani medi quale fosse la principale preoccupazione per il futuro. La risposta «me stesso e la mia famiglia» era in cima alla lista per un cittadino su 10. Ora la risposta figura in cima alla lista per il 40% dei connazionali. Siamo l’Italia che risparmia, e anche per questo reggiamo meglio alle crisi. Ma perfino il Governatore della Banca d’Italia – né tenero verso il consumismo né contrario al risparmio – segnala il rischio che questo ostacoli la crescita. Esorta gli italiani a crederci di nuovo: a rimettere in circolo quelle risorse. Un’economia così statica e che risparmia tanto è anche una contraddizione in termini: sequestra risorse che – pur nelle mani delle famiglie – sono anche pubbliche, in quanto da esse dipende il bene comune. Non è l’elogio dell’induzione al consumo, ma l’elogio dell’investimento sulla persona, prima di tutto sull’istruzione. Ragionare di economia da civilizzare è un buon modo di intervenire sulla dicotomia tra economia ed etica. Le lenti deformanti ci dicono che l’economia procede dall’alto – che è impositiva, elitaria, nemica delle persone, dei bisogni "alti" e "liberi", rapace, incomprensibile – mentre la società procede dal basso e costruisce. Che l’economia sono "loro" (capitalisti, sfruttatori, regolatori, autorità, banche) mentre la società siamo "noi" (i vessati, gli sfruttati, i non informati). Un paradosso molto simile divide la politica ("loro", la casta, i corrotti e corruttori) e la base elettorale ("noi", gli elettori, i cittadini non rispettati nei diritti). E invece l’economia – proprio come la politica – siamo noi. Il rischio è che l’atteggiamento noi/voi (o noi contro voi) deresponsabilizzi noi e impedisca il controllo su voi, ossia verso l’alto: il che è appunto il vero modo di portare l’economia e la politica fuori della cittadinanza. Una simile divisione del campo è il terreno ideale per far sorgere una serie di proposizioni e controproposizioni sbagliate e distruttrici di valore sociale. Come quella per cui il "dono" sarebbe sempre meglio dello "scambio" economico. O l’affermazione che il non profit è marginale (oppure sempre centrale). O, ancora, che esiste un’economia dall’alto "cattiva in sé" e una dal basso "buona in sé". Ma l’azione economica consiste nella creazione di valore sociale. E il dono non è più la sola e forse nemmeno la maniera comunque e sempre migliore per sostenere il non profit, tanto da richiedere un nuovo e attento utilizzo del fund raising. Banca Prossima è un osservatorio privilegiato del cambiamento, ma anche un luogo di propulsione del cambiamento. Per questo mi sembra che l’approccio che ci siamo dati possa contribuire a creare bene comune su due fronti. Da una parte chiede più attenzione e considerazione per il non profit da parte di tutti coloro che sono coinvolti in modo attivo in quel progetto, i cosiddetti stakeholder. Dall’altra qualifica e seleziona le organizzazioni non profit sulla base della sostenibilità e non di un aprioristico primato morale. Solo acquisendo la consapevolezza di questo passaggio il non profit italiano si trasformerà. Non subirà semplicemente l’ennesimo adattamento a peggiorate condizioni di spesa pubblica, ma si renderà più efficiente avvicinandosi e facendo rete, si presenterà con più trasparenza ai cittadini donatori, si aprirà alla sfida di una gestione efficace. Per questo portare l’etica nell’economia è una sfida meno stimolante del tentare di portare l’economia nell’etica. Ed è tempo di cominciare a farlo per un Paese in cui 4 milioni di cittadini si prendono cura di altri 30 milioni: che sono quasi tutti gli altri.
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