È più che mai il momento dei «doveri inderogabili»
sabato 9 gennaio 2021

Caro direttore,

come comunità possiamo essere fieri dell’alto tasso di rispetto delle regole stabilite dalle autorità per arginare la pandemia. Gli esperti, però, ci dicono che gli sforzi fatti non sono ancora sufficienti. In attesa della vaccinazione di massa, le prossime settimane potrebbero essere particolarmente dure. È fondamentale, dunque, un salto di qualità, uno scatto in avanti, tanto delle istituzioni, quanto della società civile. Quest’ultima, finora, ha soprattutto subìto le restrizioni, come delle imposizioni fissate dai governanti a carico dei governati. Ha avuto molto seguito una prospettiva volta a 'limitare i danni', cioè a cercare di coniugare il rispetto formale delle prescrizioni con la ricerca di pericolosi spazi da esse non direttamente regolati. Basta pensare ai non pochi datori di lavoro che, appena possibile, hanno richiamato in ufficio i dipendenti senza effettiva necessità di abbandonare il lavoro da remoto. È paradossale, poi, il caso di alcune Università, dunque enti pubblici, che, pur accettando la didattica a distanza, imponevano ai professori di svolgere nel loro studio in Ateneo le lezioni videotrasmesse.

La percezione di un soffocante accerchiamento di divieti e della necessità di sfruttare anche gli interstizi lasciati liberi è responsabilità anche delle autorità di governo. Non è stata fornita un’informazione adeguata e chiara per dimostrare alla gente che le limitazioni ai diritti di libertà sono uno strumento inevitabile per difendere se stessi, prima ancora degli altri. È mancata una comunicazione efficiente per spiegare anche alle fasce di popolazione meno fragili, soprattutto ai più giovani, che il Covid può causare anche a loro giorni terribili e seri problemi.

A determinare questo quadro hanno contribuito anche gli strumenti utilizzati per introdurre i divieti. Nelle liberaldemocrazie, infatti, la legge è il mezzo con il quale il popolo da sé pone limiti alle libertà di cui gode, cosicché tali limiti sono avvertiti come il frutto di scelte autonome, sia pure compiute per il tramite dei rappresentanti. Per gestire la pandemia, invece, si è fatto e si fa, per lo più, ricorso a provvedimenti emergenziali del Governo, portati all’esame del Parlamento per un 'avallo' o, addirittura, a 'ratifica', anziché scegliere la via maestra di un previo confronto parlamentare, aperto anche alle opposizioni. Queste ultime hanno avuto, così, il destro per contestare talune scelte anche ragionevoli dell’esecutivo.

Se questo è il quadro, per il prossimo futuro, di fronte ai rischi di una terza e ancor più violenta ondata di pandemia, è indispensabile, quale che sia il quadro di governo che si andrà definire, che le istituzioni comunichino meglio il senso profondo delle regole che la situazione pandemica impone. E, insieme, che il dibattito si svolga per tempo anzitutto nella sede per eccellenza, e cioè il Parlamento. D’altro lato, però, alla società civile spetta il compito di vivere e applicare le regole senza formalismi, ma con l’idea che esse sono lo strumento principale per difendere se stessi, i propri cari e la propria comunità. Quest’ultima, ci ricorda l’art. 2 della Costituzione, si costruisce, infatti, non solo sui diritti inviolabili, ma anche sui «doveri inderogabili di solidarietà politica, economica e sociale».

Costituzionalista, Università Europea di Roma

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